LAVORO DI EDUCAZIONE MOTORIA
In collaborazione con Istituto scuola primaria
Piano di lezione per bambini/e:
v Offrire l’opportunità di praticare determinati esercizi ed acquisire determinate abilità;
v Organizzare piacevoli esercizi di adattamento, che risultino possibilmente utili a tutti gli allievi della classe;
v Far acquisire la maggiore esperienza possibile in una grande varietà di esercizi fondamentali
Piccole gare ed esercizi in gruppo non molto numerosi costituiscono un’attività piacevole, mediante il quale i bambini rafforzano i muscoli, aumentano la velocità e l’agilità. Bisogna fornire loro una guida così da sviluppare sicurezza e controllo dei movimenti, specialmente attraverso la corretta esecuzione degli esercizi base dei vari sport.
L’esercizio di queste attività influisce positivamente anche sul profitto e favorisce lo sviluppo della fiducia in se stessi e del senso di responsabilità, perché le tecniche fondamentali di ogni sport o gioco debbono essere apprese con assoluta padronanza ed esigono un continuo allenamento per mantenere alto il livello di esecuzione.
Attività introduttive:
v Giochi in cui gli allievi debbano reciprocamente rincorrersi, conquistare un determinato obiettivo che implichino immaginazione
v Esercizi liberi oppure un’animata e vigorosa attività. I bambini debbono lavorare senza attrezzi o con una libera scelta di attrezzi. Si deve incoraggiare il lavoro individuale, ma non appena cominciano ad acquisire qualche abilità, dovrebbero esercitarsi con un compagno od a piccoli gruppi.
v Esercizi individuali con attrezzi semplici come la palla, la corda, gli ostacoli etc…
v Staffette, uniscono abilità ed agilità.
Esercizi collettivi di classe:
v Migliorare l’esecuzione degli esercizi;
v Aumentare il numero e la varietà degli esercizi.
Per assicurare il massimo rendimento, gli esercizi debbono essere eseguiti individualmente, a coppie od in piccoli gruppi. L’insegnamento tecnico ha un ruolo importante. L’insegnante deve possedere un’ottima conoscenza dei principi fondamentali delle varie tecniche. Mostrando i movimenti e spiegandoli egli deve portare la classe ad un buon livello di esecuzione ed ad una completa comprensione delle tecniche interessate. La tecnica del lancio, della presa, del salto della battuta, del palleggio, del tiro potranno richiedere un insegnamento diretto oppure potranno essere assimilate dagli allievi attraverso l’esecuzione di giochi semplici.
Esercizi in gruppo e staffette:
v La classe deve essere divisa in tanti gruppi quanti lo consentano il numero, lo spazio e l’equipaggiamento. I vari gruppi potranno eseguire gli stessi esercizi oppure diversi esercizi che consisteranno comunque principalmente nei movimenti base. Varietà di esercizi, velocità e destrezza.
v Come alternativa si può organizzare un torneo di abilità. Ciascun gruppo esegue un esercizio per il quale si potrà determinare un sistema di punteggio. Ogni gruppo deve eseguire tutti i vari esercizi.
Gioco finale:
Deve essere in generale costituito da un gioco semplice o da esercizi relativi ad uno sport.
L’impiego di materiale didattico costituito da cerchi, palle, funi, sacchi, piccole mazze….deve sempre avere una precisa relazione con le parti del corpo, specialmente le mani ed i piedi, per sviluppare tempismo e ritmo. Deve essere costantemente curata la corretta posizione per il miglior equilibrio e la coordinazione generale. Anche il piazzamento dei bersagli e la disposizione del materiale, con i corrispondenti impieghi, devono assicurare una sufficiente varietà.
Le situazioni, gli obiettivi e le sequenze possono essere opportunamente variate nei seguenti aspetti:
v Differente impiego del materiale……farlo scorrere sul terreno, vicino al terreno, lancio alto, lancio basso, vicino o lontano, veloce o lento…
v Con l’impiego coordinato di un determinato materiale……mazza per colpire palla, un bersaglio da colpire, un traguardo da raggiungere, un’area delimitata in cui far cadere qualcosa.
v Differente impiego delle parti del corpo, mani, piedi, testa. Movimenti combinati per conseguire disinvoltura sia sul lato destro sia su quello sinistro.
v Sviluppare tempismo, con particolare attenzione all’equilibrio, alla posizione del corpo, alla rapidità dei riflessi.
v Introduzione delle sequenze, corsa, lancio, rimbalzo e presa, battuta e presa, lancio alto e lontano, rincorrere ed arretrare.
v Posizione. Spostarsi per raccogliere, giocando con un compagno. Occupazione di spazi limitrofi o successivi.
v Limitazioni. Usare una sola mano, saltare su di una sola gamba, presa con una sola mano, raccogliere una palla in movimento, mirare ad un bersaglio, tirare a dei birilli…
v Collaborazione e gioco con i compagni, a coppie od in piccoli gruppi. Due o più ragazzi possono servirsi della stessa rete, della stessa porta, dello stesso bersaglio, pur continuando ad esercitarsi individualmente.
Materiale necessario:
ü Palline da tennis
ü Sacchi di vario genere
ü Palloni di plastica di varie misure
ü Mazze piccole e grandi
ü Racchette da tennis
ü Corde da salto da tre metri/cinque/dieci ed oltre…
ü Cerchi di vario diametro
ü Birilli di gomma
ü Paletti movibili
ü Secchi di varie misure
ü Palle morbide
ü Reti di varie misure
ü Ostacolino/i
ü Trecce di vari colori
ü Elastici vari colorati
dr.Claudio De Martini
giovedì 8 novembre 2007
Psicologia
L'uomo e il suo comportamento sono da sempre il prodotto della presenza simultanea degli elementi di carattere biologico, psicologico, affettivo e sociale.
Da questo deriva il fatto che la comunicazione deve essere considerata, in tutte le sue forme, un fattore determinante degli scambi reciproci tra individui.
Se da una parte è vero che l'uomo comunica verbalmente attraverso apparati biologici esclusivi della sua specie (corde vocali, area cerebrale del linguaggio…), è anche vero che l'estrema artificiosità ed articolazione della comunicazione umana, deriva da un'acquisizione culturale che va ben oltre la trasmissione genetica e viene inscritta nella storia di ogni uomo; in modo particolare nel suo gruppo sociale di appartenenza.
Comunicare significa rendere comune e deriva dall'aggettivo "comune", la cui etimologia, da cum (con) e munus (incarico), sta propriamente per "che compie l'incarico insieme con altri" [S. Marsicano (a cura di), Comunicazione e disagio sociale, Ed. F. Angeli, Milano, 1987, pp. 215, 216].
LE COMPONENTI DELLA COMUNICAZIONE
Possono essere date molteplici definizioni di comunicazione, ma qui prenderò in esame quella del linguista di origine russa Roman Jakobson, il cui modello conduce ad una sommaria struttura della comunicazione. Tale modello è stato ampiamente criticato, soprattutto per la rigidità e la riduttività che lo contraddistingue.
Tuttavia esso ci offre un utile punto di partenza per definire la comunicazione; per cercare di schematizzare l'atto comunicativo in modo tale da isolare quelle che sono le sue parti costituenti.
CANALE --------- CONTESTO
EMITTENTE ------ MESSAGGIO ------ RICEVENTE
CODIFICA -------- DECODIFICA
(CODICE)
[Ricci Bitti, Zani, La comunicazione come processo sociale, Il Mulino, Bologna, 1983, pp. 23, 24].
L'atto comunicativo ha il compito di rendere comune l'oggetto della comunicazione tra due o più interlocutori. Esso deve essere inteso come la trasmissione di informazione attraverso messaggi, da un emittente a un destinatario.
Perché tale processo avvenga, è necessario che le componenti che formano il messaggio (i segni) siano costruite secondo certe regole e combinate secondo altre; tali regole formano il codice.
Se non fossero presenti queste regole, la comunicazione risulterebbe alquanto difficoltosa.
La comunicazione umana si profila come un processo interattivo in cui ci si capisce in relazione a situazioni, interessi, attese e circostanze [S. Gensini (a cura di), Manuale della comunicazione, Ed. Carocci, Roma, 1999, p.25].
All'interno di un atto comunicativo non ci sono solo un emittente e un ricevente; bensì, come ci fa notare Jakobson, una situazione comunicativa è caratterizzata anche e soprattutto dal messaggio che viene trasmesso, dal codice mediante cui è codificato tale messaggio, dal canale (mezzo o strumento fisico della trasmissione del messaggio), dal contesto e dal contatto tra emittente e ricevente [Enciclopedia Garzanti di filosofia, p. 195].
La comunicazione può quindi essere intesa come il processo che consiste nel trasmettere o nel far circolare delle informazioni, cioè un insieme di dati tutti o in parte sconosciuti al ricevente prima dell'atto comunicativo.
Va inoltre sottolineato che:
(a) la relazione tra emittente e ricevente è bilaterale e reversibile, nel senso che ciascun partner presenta la possibilità di assumere anche il ruolo dell'altro;
(b) poiché il messaggio è considerato quale portatore di significato, allora esso conduce all'azione;
(c) nell'atto della comunicazione l'emittente e il ricevente si adattano l'uno all'altro e alla situazione generale per trasmettere il significato;
(d) la situazione fondamentale della comunicazione è il dialogo, ma nella realtà concreta la relazione tra emittente e ricevente si trova integrata in una molteplicità di reti. Ogni relazione è cioè influenzata dall'esistenza di una vasta e complessa relazione sociale;
(e) la comunicazione umana è un atto guidato dall'intenzionalità.
Il momento dell'emissione di un messaggio è caratterizzato dalla necessità di trasformare un contenuto psichico in un fatto obiettivo per trasmetterlo all'interlocutore e per far sì che quest'ultimo lo possa comprendere [Ricci Bitti, Zani, op. cit. p. 26].
Il secondo momento dell'atto comunicativo è costituito dalla decodifica del messaggio trasmesso: si tratta di un processo dinamico e complesso che comporta una ricca attività cosciente, attenzione e sforzo per raccogliere tutti i dati necessari alla comprensione di una espressione.
Una volta percepito e decifrato il messaggio (verbale o meno) lo si deve ricostruire. La ricezione implica una continua creazione, consistente nel tentativo di ricercare il significato inteso dall'emittente. Quindi, accanto alla percezione e al riconoscimento dei segni, si ha anche l'interpretazione di tale messaggio.
Ma non sempre si arriva alla percezione esatta del messaggio trasmesso, in quanto questa può venire alterata da elementi di disturbo, quali ad esempio componenti emotive, stati patologici che compromettono l'esito della comunicazione.
Poiché il problema della malattia mentale da sempre coincide con quello del rapporto tra individuo e organizzazione, allora molto spesso, contesto e aspettative agiscono in modo integrato, facendo sì che percepiamo le cose e le persone come ci aspettiamo di trovarle. Si tende cioè ad interpretare i segni in modo che risultino compatibili con le nostre credenze.
A loro è stata data quindi notevole importanza in ambito comunicativo.
IL LINGUAGGIO
L'aspetto determinante del linguaggio è quello di essere un sistema di comunicazione inserito in una situazione sociale, quale strumento di legittimazione della realtà esistente.
Il linguaggio è una peculiarità tipicamente umana, riconosciuta come esclusiva dell'uomo, per cui la vita quotidiana è soprattutto vita con e per mezzo del linguaggio che si condivide con gli altri esseri sociali.
Stando a quanto detto finora, non si può quindi guardare al linguaggio riferendosi solo a quelle che sono le sue caratteristiche tecniche, ma lo si deve inserire in un più ampio contesto.
Storicamente il linguaggio è stato un termine usato sia per indicare l'insieme dei codici umani che trasmettono, conservano ed elaborano informazioni; sia per designare la facoltà che si manifesta attraverso messaggi codificati. Come linguaggio si definiscono inoltre fenomeni non sempre consci, di espressione e comunicazione a basso grado di codifica o di trasgressione o di invenzione di codici
Il filosofo statunitense Charles Morris ha proposto tre dimensioni di analisi del linguaggio, definite rispettivamente: sintattica, semantica e pragmatica, a seconda che si considerino le relazioni:
(a) tra le unità del linguaggio;
(b) tra le unità del linguaggio e i significati;
(c) tra le unità del linguaggio e gli utenti.
Ciò che qui interessa ai fini della comprensione dell'atto linguistico propriamente umano, è la comunicazione intesa specificatamente come pragmatica; ossia la comunicazione come forma di relazione interpersonale, che si stacca dall'ambito puramente metodico e va ad interessare anche l'ambito metacomunicativo.
Dobbiamo appunto tenere conto del fatto che i significati dei termini letterali spesso suggeriscono qualcosa che letterale non è. Qualcosa che non dipende dal linguaggio in quanto tale, ma che va invece ricercato in quella che è la nostra intenzione di significare. Per fare un'analisi dei nostri enunciati, infatti, non ci si deve fermare al semplice proferimento.
La formazione del linguaggio richiede tre condizioni:
(a) affettiva: la quale esprime il desiderio di voler comunicare;
(b) intellettiva: è la possibilità mentale di connettere, ricordare e ordinare le parole;
(c) sensomotoria: possedere gli strumenti di audizione e fonazione.
In assenza anche di una sola di queste condizioni, il linguaggio assume carattere patologico. È proprio quello che vogliono dimostrare lo psichiatra ed antropologo statunitense Gregory Bateson e il suo gruppo di ricerca quando, nel 1962, indicano quale aspetto più importante del loro lavoro, l'adozione di un approccio generale basato sulla comunicazione per studiare una vasta gamma di comportamenti umani, inclusa la schizofrenia [AA.VV., Comunicazione e linguaggio, Ed. F. Angeli, Milano, 1988, pp.20, 21].
Secondo loro la comunicazione è qualcosa di complesso, all'interno della quale non c'è mai un unico messaggio, ma ci sono sempre due o più messaggi in relazione tra loro, di livelli differenti e spesso trasmessi da canali diversi: voce, tono, movimento, contesto…
La realtà della comunicazione, come già detto prima, va oltre le manifestazioni verbali, investendo l'intero comportamento, nel quale ogni atteggiamento osservabile ha valore di messaggio.
Quando noi vogliamo esprimere qualcosa, oltre all'informazione che trasmettiamo, nella comunicazione c'è sempre anche un aspetto metalinguistico, il quale fornisce le istruzioni su come intendere l'enunciato. Gli enunciati infatti non sono mai neutri da un punto di vista emotivo: fa parte dell'enunciazione il tipo di rapporto che vogliamo instaurare con il nostro interlocutore. E questo rapporto non è qualcosa che si congloba all'enunciato, bensì è qualcosa insita nell'enunciato stesso, il quale assume una doppia valenza. Secondo Bateson molte forme di schizofrenia sono date proprio da messaggi dove l'aspetto superficiale contrasta con quello metalinguistico.
Di fatto viene operata una distinzione fra il pensiero diretto e non diretto: il primo segue la logica della lingua (grammatica, sintassi, semantica); il secondo invece ha alla sua base i sogni, le fantasie, le vicende del mondo interiore.
La lingua esercita un notevole influsso su stati d'animo, opinioni, comportamenti e decisioni.
LA METACOMUNICAZIONE
Il noto psicoterapeuta statunitense Paul Watzlawick, facente parte del Mental Research Institute di Palo Alto, definisce comunicazione qualsiasi comportamento che accade in presenza di un'altra persona. Secondo il suo punto di vista non occorre quindi l'intenzione di comunicare: dal punto di vista della pragmatica non esiste all'interno del sistema di interazione la possibilità di non comunicare.
Tutto il comportamento è comunicazione e tutta la comunicazione influenza il comportamento.
Non importa quindi che la comunicazione sia volontaria o meno, che i partecipanti se ne rendano conto oppure no: essi in ogni caso si influenzano tra loro inviando informazioni tramite il proprio modo di comportarsi.
Come già detto in precedenza, ogni comunicazione ha due aspetti: uno relativo al contenuto del messaggio, alla notizia trasmessa; l'altro riguardante il modo in cui tale messaggio deve essere assunto, riguarda quindi la relazione che esiste tra i comunicanti. L'aspetto relazionale costituisce proprio la comunicazione sulla comunicazione, cioè la metacomunicazione.
La capacità di metacomunicare in modo appropriato non solo è la conditio sine qua non della comunicazione efficace, ma è anche correlata al problema della consapevolezza di sé e degli altri.
Metacomunicare comporta quindi due operazioni distinte, anche se talvolta connesse:
(a) rendersi conto che il proprio sistema di codifica linguistica può essere diverso da quello altrui; (b) evidenziare gli aspetti relazionali propri dello scambio comunicativo.
La metacomunicazione avviene frequentemente attraverso segnali impliciti e non verbali o analogici, secondo la terminologia informatica (intonazione della voce, gesti, espressioni facciali). Tali segnali, invece di corrispondere ad osservazioni denotative sugli oggetti, contribuiscono a definire il contesto di un'interazione.
Nel testo Pragmatica della comunicazione umana, Watzlawick e i suoi collaboratori stabiliscono un nesso tra comunicazione e comportamento, nel senso che, ogni modo di esprimersi, compreso il silenzio, esprime un elemento comunicativo.
"L'attività e l'inattività, le parole e il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro" [Watzlawick, Beavin, Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971, p. 41].
Questo è indubbiamente il punto di partenza dal quale gli studiosi di Palo Alto ottengono quello che sarà poi uno dei postulati basilari della loro teoria, e che Watzlawick fa proprio, immettendo fra i suoi assiomi:
"Non si può non comunicare" [Ibidem, p. 43].
Da questo prendono avvio anche i successivi assiomi, di cui il secondo, accettando l'impostazione di Bateson, recita che:
"Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione" [Ibidem, p. 46].
Questo significa che ci muoviamo sempre su due diversi livelli comunicativi.
Il primo aspetto della comunicazione è quello di contenuto, il quale trasmette informazioni su fatti, opinioni, sensazioni ecc., mentre il secondo, l'aspetto di comando, definisce la natura della relazione fra i comunicanti.
Una comunicazione non soltanto trasmette informazione, ma impone anche un comportamento.
Il terzo assioma recita che:
"La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti" [Ibidem, p. 51].
Questo assioma prende in considerazione l'interazione tra comunicanti e arriva a dire che coloro i quali partecipano all'interazione, introducono sempre qualcosa di importante detta punteggiatura delle sequenze di comunicazione.
Il quarto assioma recita che:
"Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico" [Ibidem, p. 57].
La comunicazione numerica concerne le parole, i nomi ecc., mentre quella analogica concerne i gesti, il linguaggio non verbale, le posizioni del corpo, le espressioni del viso.
Infine il quinto assioma recita che:
"Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull'uguaglianza o sulla differenza" [Ibidem, p. 60].
Nel primo caso i modelli tendono a rispecchiare il comportamento dell'altro (interazione simmetrica); nel secondo caso il comportamento del partner completa quello dell'altro.
Da quanto detto finora si evince che l'impossibilità di non comunicare rende comunicative le situazioni impersonali che coinvolgono due o più persone.
Qualsiasi sia il mezzo usato per comunicare, esso rappresenta comunque l'asse portante dei rapporti che si instaurano tra gli individui.
La comunicazione cioè permette di aprire porte che fino ad allora erano rimaste chiuse, anche se talvolta, nel varcare queste soglie, ci si imbatte in qualcosa di imprevisto, rintracciabile molto spesso nelle antinomie espresse dai comunicanti.
L'uomo e il suo comportamento sono da sempre il prodotto della presenza simultanea degli elementi di carattere biologico, psicologico, affettivo e sociale.
Da questo deriva il fatto che la comunicazione deve essere considerata, in tutte le sue forme, un fattore determinante degli scambi reciproci tra individui.
Se da una parte è vero che l'uomo comunica verbalmente attraverso apparati biologici esclusivi della sua specie (corde vocali, area cerebrale del linguaggio…), è anche vero che l'estrema artificiosità ed articolazione della comunicazione umana, deriva da un'acquisizione culturale che va ben oltre la trasmissione genetica e viene inscritta nella storia di ogni uomo; in modo particolare nel suo gruppo sociale di appartenenza.
Comunicare significa rendere comune e deriva dall'aggettivo "comune", la cui etimologia, da cum (con) e munus (incarico), sta propriamente per "che compie l'incarico insieme con altri" [S. Marsicano (a cura di), Comunicazione e disagio sociale, Ed. F. Angeli, Milano, 1987, pp. 215, 216].
LE COMPONENTI DELLA COMUNICAZIONE
Possono essere date molteplici definizioni di comunicazione, ma qui prenderò in esame quella del linguista di origine russa Roman Jakobson, il cui modello conduce ad una sommaria struttura della comunicazione. Tale modello è stato ampiamente criticato, soprattutto per la rigidità e la riduttività che lo contraddistingue.
Tuttavia esso ci offre un utile punto di partenza per definire la comunicazione; per cercare di schematizzare l'atto comunicativo in modo tale da isolare quelle che sono le sue parti costituenti.
CANALE --------- CONTESTO
EMITTENTE ------ MESSAGGIO ------ RICEVENTE
CODIFICA -------- DECODIFICA
(CODICE)
[Ricci Bitti, Zani, La comunicazione come processo sociale, Il Mulino, Bologna, 1983, pp. 23, 24].
L'atto comunicativo ha il compito di rendere comune l'oggetto della comunicazione tra due o più interlocutori. Esso deve essere inteso come la trasmissione di informazione attraverso messaggi, da un emittente a un destinatario.
Perché tale processo avvenga, è necessario che le componenti che formano il messaggio (i segni) siano costruite secondo certe regole e combinate secondo altre; tali regole formano il codice.
Se non fossero presenti queste regole, la comunicazione risulterebbe alquanto difficoltosa.
La comunicazione umana si profila come un processo interattivo in cui ci si capisce in relazione a situazioni, interessi, attese e circostanze [S. Gensini (a cura di), Manuale della comunicazione, Ed. Carocci, Roma, 1999, p.25].
All'interno di un atto comunicativo non ci sono solo un emittente e un ricevente; bensì, come ci fa notare Jakobson, una situazione comunicativa è caratterizzata anche e soprattutto dal messaggio che viene trasmesso, dal codice mediante cui è codificato tale messaggio, dal canale (mezzo o strumento fisico della trasmissione del messaggio), dal contesto e dal contatto tra emittente e ricevente [Enciclopedia Garzanti di filosofia, p. 195].
La comunicazione può quindi essere intesa come il processo che consiste nel trasmettere o nel far circolare delle informazioni, cioè un insieme di dati tutti o in parte sconosciuti al ricevente prima dell'atto comunicativo.
Va inoltre sottolineato che:
(a) la relazione tra emittente e ricevente è bilaterale e reversibile, nel senso che ciascun partner presenta la possibilità di assumere anche il ruolo dell'altro;
(b) poiché il messaggio è considerato quale portatore di significato, allora esso conduce all'azione;
(c) nell'atto della comunicazione l'emittente e il ricevente si adattano l'uno all'altro e alla situazione generale per trasmettere il significato;
(d) la situazione fondamentale della comunicazione è il dialogo, ma nella realtà concreta la relazione tra emittente e ricevente si trova integrata in una molteplicità di reti. Ogni relazione è cioè influenzata dall'esistenza di una vasta e complessa relazione sociale;
(e) la comunicazione umana è un atto guidato dall'intenzionalità.
Il momento dell'emissione di un messaggio è caratterizzato dalla necessità di trasformare un contenuto psichico in un fatto obiettivo per trasmetterlo all'interlocutore e per far sì che quest'ultimo lo possa comprendere [Ricci Bitti, Zani, op. cit. p. 26].
Il secondo momento dell'atto comunicativo è costituito dalla decodifica del messaggio trasmesso: si tratta di un processo dinamico e complesso che comporta una ricca attività cosciente, attenzione e sforzo per raccogliere tutti i dati necessari alla comprensione di una espressione.
Una volta percepito e decifrato il messaggio (verbale o meno) lo si deve ricostruire. La ricezione implica una continua creazione, consistente nel tentativo di ricercare il significato inteso dall'emittente. Quindi, accanto alla percezione e al riconoscimento dei segni, si ha anche l'interpretazione di tale messaggio.
Ma non sempre si arriva alla percezione esatta del messaggio trasmesso, in quanto questa può venire alterata da elementi di disturbo, quali ad esempio componenti emotive, stati patologici che compromettono l'esito della comunicazione.
Poiché il problema della malattia mentale da sempre coincide con quello del rapporto tra individuo e organizzazione, allora molto spesso, contesto e aspettative agiscono in modo integrato, facendo sì che percepiamo le cose e le persone come ci aspettiamo di trovarle. Si tende cioè ad interpretare i segni in modo che risultino compatibili con le nostre credenze.
A loro è stata data quindi notevole importanza in ambito comunicativo.
IL LINGUAGGIO
L'aspetto determinante del linguaggio è quello di essere un sistema di comunicazione inserito in una situazione sociale, quale strumento di legittimazione della realtà esistente.
Il linguaggio è una peculiarità tipicamente umana, riconosciuta come esclusiva dell'uomo, per cui la vita quotidiana è soprattutto vita con e per mezzo del linguaggio che si condivide con gli altri esseri sociali.
Stando a quanto detto finora, non si può quindi guardare al linguaggio riferendosi solo a quelle che sono le sue caratteristiche tecniche, ma lo si deve inserire in un più ampio contesto.
Storicamente il linguaggio è stato un termine usato sia per indicare l'insieme dei codici umani che trasmettono, conservano ed elaborano informazioni; sia per designare la facoltà che si manifesta attraverso messaggi codificati. Come linguaggio si definiscono inoltre fenomeni non sempre consci, di espressione e comunicazione a basso grado di codifica o di trasgressione o di invenzione di codici
Il filosofo statunitense Charles Morris ha proposto tre dimensioni di analisi del linguaggio, definite rispettivamente: sintattica, semantica e pragmatica, a seconda che si considerino le relazioni:
(a) tra le unità del linguaggio;
(b) tra le unità del linguaggio e i significati;
(c) tra le unità del linguaggio e gli utenti.
Ciò che qui interessa ai fini della comprensione dell'atto linguistico propriamente umano, è la comunicazione intesa specificatamente come pragmatica; ossia la comunicazione come forma di relazione interpersonale, che si stacca dall'ambito puramente metodico e va ad interessare anche l'ambito metacomunicativo.
Dobbiamo appunto tenere conto del fatto che i significati dei termini letterali spesso suggeriscono qualcosa che letterale non è. Qualcosa che non dipende dal linguaggio in quanto tale, ma che va invece ricercato in quella che è la nostra intenzione di significare. Per fare un'analisi dei nostri enunciati, infatti, non ci si deve fermare al semplice proferimento.
La formazione del linguaggio richiede tre condizioni:
(a) affettiva: la quale esprime il desiderio di voler comunicare;
(b) intellettiva: è la possibilità mentale di connettere, ricordare e ordinare le parole;
(c) sensomotoria: possedere gli strumenti di audizione e fonazione.
In assenza anche di una sola di queste condizioni, il linguaggio assume carattere patologico. È proprio quello che vogliono dimostrare lo psichiatra ed antropologo statunitense Gregory Bateson e il suo gruppo di ricerca quando, nel 1962, indicano quale aspetto più importante del loro lavoro, l'adozione di un approccio generale basato sulla comunicazione per studiare una vasta gamma di comportamenti umani, inclusa la schizofrenia [AA.VV., Comunicazione e linguaggio, Ed. F. Angeli, Milano, 1988, pp.20, 21].
Secondo loro la comunicazione è qualcosa di complesso, all'interno della quale non c'è mai un unico messaggio, ma ci sono sempre due o più messaggi in relazione tra loro, di livelli differenti e spesso trasmessi da canali diversi: voce, tono, movimento, contesto…
La realtà della comunicazione, come già detto prima, va oltre le manifestazioni verbali, investendo l'intero comportamento, nel quale ogni atteggiamento osservabile ha valore di messaggio.
Quando noi vogliamo esprimere qualcosa, oltre all'informazione che trasmettiamo, nella comunicazione c'è sempre anche un aspetto metalinguistico, il quale fornisce le istruzioni su come intendere l'enunciato. Gli enunciati infatti non sono mai neutri da un punto di vista emotivo: fa parte dell'enunciazione il tipo di rapporto che vogliamo instaurare con il nostro interlocutore. E questo rapporto non è qualcosa che si congloba all'enunciato, bensì è qualcosa insita nell'enunciato stesso, il quale assume una doppia valenza. Secondo Bateson molte forme di schizofrenia sono date proprio da messaggi dove l'aspetto superficiale contrasta con quello metalinguistico.
Di fatto viene operata una distinzione fra il pensiero diretto e non diretto: il primo segue la logica della lingua (grammatica, sintassi, semantica); il secondo invece ha alla sua base i sogni, le fantasie, le vicende del mondo interiore.
La lingua esercita un notevole influsso su stati d'animo, opinioni, comportamenti e decisioni.
LA METACOMUNICAZIONE
Il noto psicoterapeuta statunitense Paul Watzlawick, facente parte del Mental Research Institute di Palo Alto, definisce comunicazione qualsiasi comportamento che accade in presenza di un'altra persona. Secondo il suo punto di vista non occorre quindi l'intenzione di comunicare: dal punto di vista della pragmatica non esiste all'interno del sistema di interazione la possibilità di non comunicare.
Tutto il comportamento è comunicazione e tutta la comunicazione influenza il comportamento.
Non importa quindi che la comunicazione sia volontaria o meno, che i partecipanti se ne rendano conto oppure no: essi in ogni caso si influenzano tra loro inviando informazioni tramite il proprio modo di comportarsi.
Come già detto in precedenza, ogni comunicazione ha due aspetti: uno relativo al contenuto del messaggio, alla notizia trasmessa; l'altro riguardante il modo in cui tale messaggio deve essere assunto, riguarda quindi la relazione che esiste tra i comunicanti. L'aspetto relazionale costituisce proprio la comunicazione sulla comunicazione, cioè la metacomunicazione.
La capacità di metacomunicare in modo appropriato non solo è la conditio sine qua non della comunicazione efficace, ma è anche correlata al problema della consapevolezza di sé e degli altri.
Metacomunicare comporta quindi due operazioni distinte, anche se talvolta connesse:
(a) rendersi conto che il proprio sistema di codifica linguistica può essere diverso da quello altrui; (b) evidenziare gli aspetti relazionali propri dello scambio comunicativo.
La metacomunicazione avviene frequentemente attraverso segnali impliciti e non verbali o analogici, secondo la terminologia informatica (intonazione della voce, gesti, espressioni facciali). Tali segnali, invece di corrispondere ad osservazioni denotative sugli oggetti, contribuiscono a definire il contesto di un'interazione.
Nel testo Pragmatica della comunicazione umana, Watzlawick e i suoi collaboratori stabiliscono un nesso tra comunicazione e comportamento, nel senso che, ogni modo di esprimersi, compreso il silenzio, esprime un elemento comunicativo.
"L'attività e l'inattività, le parole e il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro" [Watzlawick, Beavin, Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971, p. 41].
Questo è indubbiamente il punto di partenza dal quale gli studiosi di Palo Alto ottengono quello che sarà poi uno dei postulati basilari della loro teoria, e che Watzlawick fa proprio, immettendo fra i suoi assiomi:
"Non si può non comunicare" [Ibidem, p. 43].
Da questo prendono avvio anche i successivi assiomi, di cui il secondo, accettando l'impostazione di Bateson, recita che:
"Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione" [Ibidem, p. 46].
Questo significa che ci muoviamo sempre su due diversi livelli comunicativi.
Il primo aspetto della comunicazione è quello di contenuto, il quale trasmette informazioni su fatti, opinioni, sensazioni ecc., mentre il secondo, l'aspetto di comando, definisce la natura della relazione fra i comunicanti.
Una comunicazione non soltanto trasmette informazione, ma impone anche un comportamento.
Il terzo assioma recita che:
"La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti" [Ibidem, p. 51].
Questo assioma prende in considerazione l'interazione tra comunicanti e arriva a dire che coloro i quali partecipano all'interazione, introducono sempre qualcosa di importante detta punteggiatura delle sequenze di comunicazione.
Il quarto assioma recita che:
"Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico" [Ibidem, p. 57].
La comunicazione numerica concerne le parole, i nomi ecc., mentre quella analogica concerne i gesti, il linguaggio non verbale, le posizioni del corpo, le espressioni del viso.
Infine il quinto assioma recita che:
"Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull'uguaglianza o sulla differenza" [Ibidem, p. 60].
Nel primo caso i modelli tendono a rispecchiare il comportamento dell'altro (interazione simmetrica); nel secondo caso il comportamento del partner completa quello dell'altro.
Da quanto detto finora si evince che l'impossibilità di non comunicare rende comunicative le situazioni impersonali che coinvolgono due o più persone.
Qualsiasi sia il mezzo usato per comunicare, esso rappresenta comunque l'asse portante dei rapporti che si instaurano tra gli individui.
La comunicazione cioè permette di aprire porte che fino ad allora erano rimaste chiuse, anche se talvolta, nel varcare queste soglie, ci si imbatte in qualcosa di imprevisto, rintracciabile molto spesso nelle antinomie espresse dai comunicanti.
TEST PSICOSOMATICO
Nome………………………. Cognome……………………… Età ……
Come affronti la seduta di allenamento?
Ø Con fatica
Ø Con gioia
Ø Come una scoperta
* Che rapporto hai instaurato con i tuoi compagni?
Ø Duraturo nel tempo
Ø Esclusivo nel calcio
Ø Sereno
* Che reazioni hai nel momento in cui giochi con la palla?
Ø Crescita tecnica
Ø Voglia di fare goal
Ø Timidezza nel giocare
* Secondo il tuo parere come dovrebbe agire il tuo allenatore?
Ø Con serietà
Ø Con serenità
Ø Con intelligenza
* Chi è il giocatore dell’altra squadra?
Ø L’avversario da battere
Ø Uno come te
Ø Un confronto settimanale
* Qual è la funzione dell’arbitro?
Ø Divertirsi
Ø Migliorare arbitrando
Ø Ammonire od espellere
* Perché il tuo allenatore mette in campo te e non un altro?
Ø Perché sono più bravo
Ø Per scelta tecnica
Ø L’importante è giocare
* Che sensazioni hai nel momento in cui subisci una rete?
Ø Tristezza
Ø Non cambia nulla è un gioco
Ø Devo impegnarmi di più
* Cosa vorresti in questa stagione sportiva?
Ø Gratificazioni personali
Ø Giocare molto e divertirmi
Ø Non infortunarmi mai…
* Qual è la cosa più importante?
Ø Non prendere goal
Ø Fare un goal
Ø Vincere
* Come influiscono i tuoi genitori nell’attività sportiva?
Ø Chiedono come stai con i tuoi compagni
Ø Chiedono se hai vinto o perso
Ø Non mi chiedono molto
* Cosa vorresti ti dicessero i tuoi genitori dopo una gara?
Ø Nulla di particolare
Ø Come ho giocato
Ø Bravo…comunque sia vittoria o sconfitta
* Quanto è importante un consiglio dell’allenatore o della famiglia?
Ø Fondamentale
Ø Molto importante
Ø Importante
* Qual è la funzione dei dirigenti in una società di calcio?
Ø Aiutare economicamente la società
Ø Aiutare a livello organizzativo
Ø Se non ci fossero, non si potrebbe giocare
* Che tipo di ostacoli potresti trovare nell’annata agonistica?
Ø Qualcuno…ma superabili
Ø Mancanza di tempo da dedicare al calcio
Ø Nessuno
* In campo giochi con ………
Ø Razionalità
Ø Aggressività
Ø Calma
* Se il compagno non ti passa la palla…. cosa pensi?
Ø Non mi ha visto
Ø Ha scelto un’altra soluzione
Ø Ce l’ha con me……
* Siamo rimasti in dieci, come cambia il mio atteggiamento in campo?
Ø Non cambia nulla, gioco come prima
Ø Devo impegnarmi di più
Ø Sarà dura ma possiamo farcela
* Dopo una vittoria, come mi sento?
Ø Euforico
Ø Tranquillo e sereno
Ø Penso alla classifica
* Cosa penso dopo una sconfitta?
Ø Speriamo che l’allenatore non sia troppo arrabbiato
Ø Abbiamo perso…ma ci sono ancore delle gare da giocare
Ø Abbiamo perso tre punti
Totale punteggio: __________________
Profilo Giocatore: _________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
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dr.Claudio De Martini
Nome………………………. Cognome……………………… Età ……
Come affronti la seduta di allenamento?
Ø Con fatica
Ø Con gioia
Ø Come una scoperta
* Che rapporto hai instaurato con i tuoi compagni?
Ø Duraturo nel tempo
Ø Esclusivo nel calcio
Ø Sereno
* Che reazioni hai nel momento in cui giochi con la palla?
Ø Crescita tecnica
Ø Voglia di fare goal
Ø Timidezza nel giocare
* Secondo il tuo parere come dovrebbe agire il tuo allenatore?
Ø Con serietà
Ø Con serenità
Ø Con intelligenza
* Chi è il giocatore dell’altra squadra?
Ø L’avversario da battere
Ø Uno come te
Ø Un confronto settimanale
* Qual è la funzione dell’arbitro?
Ø Divertirsi
Ø Migliorare arbitrando
Ø Ammonire od espellere
* Perché il tuo allenatore mette in campo te e non un altro?
Ø Perché sono più bravo
Ø Per scelta tecnica
Ø L’importante è giocare
* Che sensazioni hai nel momento in cui subisci una rete?
Ø Tristezza
Ø Non cambia nulla è un gioco
Ø Devo impegnarmi di più
* Cosa vorresti in questa stagione sportiva?
Ø Gratificazioni personali
Ø Giocare molto e divertirmi
Ø Non infortunarmi mai…
* Qual è la cosa più importante?
Ø Non prendere goal
Ø Fare un goal
Ø Vincere
* Come influiscono i tuoi genitori nell’attività sportiva?
Ø Chiedono come stai con i tuoi compagni
Ø Chiedono se hai vinto o perso
Ø Non mi chiedono molto
* Cosa vorresti ti dicessero i tuoi genitori dopo una gara?
Ø Nulla di particolare
Ø Come ho giocato
Ø Bravo…comunque sia vittoria o sconfitta
* Quanto è importante un consiglio dell’allenatore o della famiglia?
Ø Fondamentale
Ø Molto importante
Ø Importante
* Qual è la funzione dei dirigenti in una società di calcio?
Ø Aiutare economicamente la società
Ø Aiutare a livello organizzativo
Ø Se non ci fossero, non si potrebbe giocare
* Che tipo di ostacoli potresti trovare nell’annata agonistica?
Ø Qualcuno…ma superabili
Ø Mancanza di tempo da dedicare al calcio
Ø Nessuno
* In campo giochi con ………
Ø Razionalità
Ø Aggressività
Ø Calma
* Se il compagno non ti passa la palla…. cosa pensi?
Ø Non mi ha visto
Ø Ha scelto un’altra soluzione
Ø Ce l’ha con me……
* Siamo rimasti in dieci, come cambia il mio atteggiamento in campo?
Ø Non cambia nulla, gioco come prima
Ø Devo impegnarmi di più
Ø Sarà dura ma possiamo farcela
* Dopo una vittoria, come mi sento?
Ø Euforico
Ø Tranquillo e sereno
Ø Penso alla classifica
* Cosa penso dopo una sconfitta?
Ø Speriamo che l’allenatore non sia troppo arrabbiato
Ø Abbiamo perso…ma ci sono ancore delle gare da giocare
Ø Abbiamo perso tre punti
Totale punteggio: __________________
Profilo Giocatore: _________________________________________________________________
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dr.Claudio De Martini
TEST Psicomotori
TEST "DRAW A MAN" DI GOODENOUGH (IMMAGINE CORPOREA)
Descrizione: chiedere al bambino di disegnare un uomo su di un foglio.
Misurazione: individuare dal disegno eventuali problematiche di percezione dell'immagine corporea.
TEST DI LATERALITÀ
Descrizione: stabilire nel bambino la preferenza delle mani e la padronanza dei piedi, lanciare in direzione del bambino una palla con la richiesta di calciarla subito, far battere le mani al bambino.
Misurazione: annotare la preferenza di mani e piedi.
TEST DI LE BOULCH (CAPACITA' DI ORIENTAMENTO)
Descrizione: disporre alcuni cerchi all'interno di un'area prestabilita; al bambino si fa vedere un foglio sul quale sono riprodotti i cerchi e sono numerati secondo una sequenza temporale; dopo averla memorizzata, gli si chiede di ripeterla nello spazio concreto dell'area prestabilita.
Misurazione: annotare gli errori.
TEST DI EQUILIBRIO STATICO
Descrizione: il bambino deve stare in equilibrio su una gamba, mani tenute sui fianchi
Misurazione: annotare ogni volta che il soggetto perde l'equilibrio (appoggiare il piede sollevato o spostare il piede d'appoggio); ogni volta che c'è una perdita di equilibrio si arresta il cronometro.
TEST DI EQUILIBRIO DINAMICO
Descrizione: il bambino sta in piedi su una panca di quaranta centimetri ed esegue cinque prove di salto all'interno di un cerchio sistemato a cinquanta centimetri dalla panca.
Misurazione: ogni perdita di equilibrio che porterà all'uscita dal cerchio, sarà conteggiata come errore.
TEST ORIENTAMENTO SUL PROPRIO CORPO
Descrizione: richiedere al ragazzo movimenti utilizzando gli indicatori spaziali (destra-sinistra, sopra-sotto, davanti-dietro,dentro-fuori, alto-basso.
Misurazione: annotare le carenze
TEST "DRAW A MAN" DI GOODENOUGH (IMMAGINE CORPOREA)
Descrizione: chiedere al bambino di disegnare un uomo su di un foglio.
Misurazione: individuare dal disegno eventuali problematiche di percezione dell'immagine corporea.
TEST DI LATERALITÀ
Descrizione: stabilire nel bambino la preferenza delle mani e la padronanza dei piedi, lanciare in direzione del bambino una palla con la richiesta di calciarla subito, far battere le mani al bambino.
Misurazione: annotare la preferenza di mani e piedi.
TEST DI LE BOULCH (CAPACITA' DI ORIENTAMENTO)
Descrizione: disporre alcuni cerchi all'interno di un'area prestabilita; al bambino si fa vedere un foglio sul quale sono riprodotti i cerchi e sono numerati secondo una sequenza temporale; dopo averla memorizzata, gli si chiede di ripeterla nello spazio concreto dell'area prestabilita.
Misurazione: annotare gli errori.
TEST DI EQUILIBRIO STATICO
Descrizione: il bambino deve stare in equilibrio su una gamba, mani tenute sui fianchi
Misurazione: annotare ogni volta che il soggetto perde l'equilibrio (appoggiare il piede sollevato o spostare il piede d'appoggio); ogni volta che c'è una perdita di equilibrio si arresta il cronometro.
TEST DI EQUILIBRIO DINAMICO
Descrizione: il bambino sta in piedi su una panca di quaranta centimetri ed esegue cinque prove di salto all'interno di un cerchio sistemato a cinquanta centimetri dalla panca.
Misurazione: ogni perdita di equilibrio che porterà all'uscita dal cerchio, sarà conteggiata come errore.
TEST ORIENTAMENTO SUL PROPRIO CORPO
Descrizione: richiedere al ragazzo movimenti utilizzando gli indicatori spaziali (destra-sinistra, sopra-sotto, davanti-dietro,dentro-fuori, alto-basso.
Misurazione: annotare le carenze
CARTA DEI DIRITTI DEL BAMBINO NELLO SPORT
1- DIRITTO di divertirsi e di giocare come un bambino
2- DIRITTO di fare dello sport
3- DIRITTO di beneficiare di un ambiente sano
4- DIRITTO di essere trattato con dignità
5- DIRITTO di essere allenato e circondato da persone qualificate
6- DIRITTO di seguire allenamenti adeguati ai propri ritmi
7- DIRITTO di misurarsi con giovani che abbiano la stessa probabilità di successo
8- DIRITTO di partecipare a gare adeguate
9- DIRITTO di praticare il suo sport nella massima sicurezza
10- DIRITTO di avere tempi di riposo
11- DIRITTO di non essere un campione
1- DIRITTO di divertirsi e di giocare come un bambino
2- DIRITTO di fare dello sport
3- DIRITTO di beneficiare di un ambiente sano
4- DIRITTO di essere trattato con dignità
5- DIRITTO di essere allenato e circondato da persone qualificate
6- DIRITTO di seguire allenamenti adeguati ai propri ritmi
7- DIRITTO di misurarsi con giovani che abbiano la stessa probabilità di successo
8- DIRITTO di partecipare a gare adeguate
9- DIRITTO di praticare il suo sport nella massima sicurezza
10- DIRITTO di avere tempi di riposo
11- DIRITTO di non essere un campione
MOTIVAZIONI
La competizione è motivante per due ragioni: - l’effetto derivante dalla presenza del pubblico che può giudicare la prestazione dello sportivo; - il confronto che significa misurare le proprie forze contro un avversario, poiché implica un confronto tra capacità e rappresenta una sfida stimolante ed avvincente. Per raggiungere un ottimo livello di motivazione è necessario non considerare l’aspetto del successo o dell’insuccesso, ma una serie di obiettivi; il successo consolida il livello delle aspirazioni, vale a dire che una volta raggiunto un livello si aspira a quello superiore. In ambito sportivo il successo e l’insuccesso sono attribuiti alle proprie capacità, al livello dello sforzo compiuto, alla fortuna ed alla difficoltà della prova. Dopo il successo o la sconfitta bisogna effettuare una stima delle attribuzioni che sia quanto più realistica ed obiettiva possibile, cercando di individuare le vere cause del risultato finale. Le azioni future saranno condizionate da questa valutazione. Esistono tre fattori che motivano lo sportivo alla pratica dello sport; superare se stesso con un allenamento continuo, ricercare il confronto, il piacere di vincere e ricercare l’approvazione sociale, conquistare fama, stima e personalità. Esistono degli impulsi che inducono l’individuo all’azione e che portano ad un apprendimento completo e realistico adeguato; affiliazione, eccellenza, aggressione, indipendenza, potere, destrezza e successo. Gli obiettivi regolano l’attività del soggetto e regolano il lavoro. E’ necessario effettuare un’adeguata previsione. Gli obiettivi si possono applicare nell’allenamento e nella competizione: nel primo caso, il miglioramento progressivo si misura sulla base dei risultati di test fisici, mentre nel secondo sulla base del raggiungimento di un determinato step di prestazione. Si tratta di dare al calciatore la possibilità di partecipare all’allenamento non come soggetto puramente allenabile, quanto piuttosto come individuo attivo in grado di essere meno assoggettato alla figura dell’allenatore. Questo lo farà sentire partecipe del proprio sviluppo fisico-tecnico, con potere decisionale al riguardo, e relativamente all’elaborazione degli obiettivi del gruppo. A livello pratico, questo si estrinseca dando al calciatore la possibilità di esprimere la propria opinione riguardo al contenuto degli allenamenti, richiedendo dei suggerimenti in merito ed anche prevedendo delle giornate di allenamento libero o riservando parte dell’allenamento alle attività scelte direttamente dai giocatori. L’obiettivo di queste strategie e di molte altre è, in definitiva, quello di migliorare la partecipazione del calciatore all’allenamento, allo sviluppo del programma di preparazione e alla competizione, mediante la ricerca d’atteggiamenti corretti nell’affrontare la parte più dura dello sport. In questo modo si cerca di raggiungere un livello ottimo di rendimento.
Claudio De Martini
La competizione è motivante per due ragioni: - l’effetto derivante dalla presenza del pubblico che può giudicare la prestazione dello sportivo; - il confronto che significa misurare le proprie forze contro un avversario, poiché implica un confronto tra capacità e rappresenta una sfida stimolante ed avvincente. Per raggiungere un ottimo livello di motivazione è necessario non considerare l’aspetto del successo o dell’insuccesso, ma una serie di obiettivi; il successo consolida il livello delle aspirazioni, vale a dire che una volta raggiunto un livello si aspira a quello superiore. In ambito sportivo il successo e l’insuccesso sono attribuiti alle proprie capacità, al livello dello sforzo compiuto, alla fortuna ed alla difficoltà della prova. Dopo il successo o la sconfitta bisogna effettuare una stima delle attribuzioni che sia quanto più realistica ed obiettiva possibile, cercando di individuare le vere cause del risultato finale. Le azioni future saranno condizionate da questa valutazione. Esistono tre fattori che motivano lo sportivo alla pratica dello sport; superare se stesso con un allenamento continuo, ricercare il confronto, il piacere di vincere e ricercare l’approvazione sociale, conquistare fama, stima e personalità. Esistono degli impulsi che inducono l’individuo all’azione e che portano ad un apprendimento completo e realistico adeguato; affiliazione, eccellenza, aggressione, indipendenza, potere, destrezza e successo. Gli obiettivi regolano l’attività del soggetto e regolano il lavoro. E’ necessario effettuare un’adeguata previsione. Gli obiettivi si possono applicare nell’allenamento e nella competizione: nel primo caso, il miglioramento progressivo si misura sulla base dei risultati di test fisici, mentre nel secondo sulla base del raggiungimento di un determinato step di prestazione. Si tratta di dare al calciatore la possibilità di partecipare all’allenamento non come soggetto puramente allenabile, quanto piuttosto come individuo attivo in grado di essere meno assoggettato alla figura dell’allenatore. Questo lo farà sentire partecipe del proprio sviluppo fisico-tecnico, con potere decisionale al riguardo, e relativamente all’elaborazione degli obiettivi del gruppo. A livello pratico, questo si estrinseca dando al calciatore la possibilità di esprimere la propria opinione riguardo al contenuto degli allenamenti, richiedendo dei suggerimenti in merito ed anche prevedendo delle giornate di allenamento libero o riservando parte dell’allenamento alle attività scelte direttamente dai giocatori. L’obiettivo di queste strategie e di molte altre è, in definitiva, quello di migliorare la partecipazione del calciatore all’allenamento, allo sviluppo del programma di preparazione e alla competizione, mediante la ricerca d’atteggiamenti corretti nell’affrontare la parte più dura dello sport. In questo modo si cerca di raggiungere un livello ottimo di rendimento.
Claudio De Martini
COSTRUIRE L’ATLETA
L’istruttore del settore giovanile non ha ancora creato una cultura, in grado di formare, in primo luogo un uomo ed in secondo luogo un buon giocatore professionista. Si usano metodi d’insegnamento ripetitivi ed obsoleti, non sperimentando conoscenze e strumenti atti a scoprire, correggere e sviluppare l’intelligenza, la personalità ed il carattere del giovane calciatore, non rispettando, talvolta, le fasi fisiologiche dello sviluppo ed ignorando l’influenza delle motivazioni e della partecipazione consapevole alla crescita personale. Infatti, si crede ancora che l’impegno, l’apprendimento e l’adesione siano garantiti dalle promesse od offerte utopistiche o dalle gratificazioni di cose materiali. Tutto ciò comporta una crescita molto lenta del giocatore professionista, non in grado di adattarsi alle crescenti esigenze della professione. Egli, infatti, è allenato e preparato a tutto, ma non a pensare ed agire con la propria testa, a proporre o decidere, o ad assumersi responsabilità senza essere guidato. Lo sport non sa ancora trasformare il gioco in uno strumento educativo, capace cioè di sviluppare insieme, la persona e l’atleta, pensando esclusivamente a formare il giocatore di calcio, per soli interessi economici. Alla base di tutto ciò, cerco di migliorare i settori giovanili in cui opero, e migliorarmi per poter crescere assieme ai ragazzi che seguo giornalmente, credendo nella persona e non nelle cose fittizie che vengono spesso promesse e mai mantenute. Cerco di mostrare una crescente curiosità ed interesse verso tecniche più moderne, indagando e sviluppando ciò che è più specifico e che decide e che regola l’attività del giocatore, non limitando la libertà espressiva e la possibilità d’autonomia del giocatore. Il calcio, purtroppo, è sottoposto a pressioni sempre più incalzanti, che non prepara o chiede troppo e talvolta il giocatore sarebbe in grado di dare di più, ma non riesce a farlo, perché c’è una richiesta sempre eccessiva ed opprimente. Questo lo spinge ad esasperare i toni agonistici, la frenesia e l’attesa della gara. Mentre l’agonismo è lucidità, capacità d’essere presenti alla situazione, libertà dalla paura d’errare, non proponendo al giocatore di ragionare con la propria testa, ed a produrre e proporre insieme tematiche per lo sviluppo fisiologico del giovane calciatore. Tutto ciò va contro la sua autonomia, e gli trasmette sensazioni negative e soluzioni già definite e dunque, ne sopisce il desiderio di scoperta e ne ostacola l’attitudine a produrre iniziative personali, limitando delle capacità che probabilmente non usciranno in questa situazione. Si forma un puro esecutore di gesti, mentre il calcio moderno ha bisogno di una mente pensante che sappia decidere ed operare in autonomia, dimostrando le proprie capacità in toto. La funzione educativa non può sottrarsi ad una regola fondamentale: quella di trasmettere da parte dell’insegnante le proprie prerogative ed i propri modelli di comportamento. Se l’allenatore non riconosce il ruolo del giocatore e non si mette al cospetto di esso, non potrà mai aspettarsi un individuo conscio delle proprie possibilità, autonomo, ma solamente pronto ad ascoltare le tematiche proposte, ma soprattutto pronto a proporre idee nuove e soluzioni alternative alle esercitazioni proposte, in funzione della propria crescita graduale e progressiva, che porterà a costruire prima l’uomo e poi il giocatore di calcio. L’allievo deve partecipare in modo attivo e diretto al proprio processo di maturazione psicologica ed intellettiva, ed in questo modo saprà amministrarsi da solo, portando a termine con continuità esercitazioni di tipo complesso. L’insegnante trasmette comportamenti, conoscenze, norme, convinzioni, valori ed aspirazioni comuni, ma intanto crea un clima che induce l’allievo ad assumersi le proprie responsabilità, usando tutti i concetti immessi secondo le proprie attitudini e poi a farli evolvere nella misura consentita dalla sua dotazione creativa. Egli interviene quindi, per completarsi includendo creatività, fantasia, originalità, critica, curiosità, iniziativa, coraggio e tutto ciò che concerne e che concorre ad interpretare la realtà ed a farla evolvere. Si migliora inoltre la capacità di mettersi al servizio della funzionalità del collettivo, di scegliere soluzioni più efficaci, di sapere acquisire dalle esperienze e saperle trasformare in bagaglio personale, immedesimandosi nelle situazioni, di capirne gli usi e le implicazioni e di portare una propria impronta personale che serva a renderle più funzionali, o quella dote, fondamentale nell’evoluzione, di saper imparare da chiunque ma, di superare, allo stesso tempo, quanto può essere trasmesso con l’insegnamento. Tutto ciò allena e sviluppa il sentimento sociale ed abitua a cooperare, in quanto il collettivo è la condizione che raccoglie i contributi di tutti e pretende che ognuno si sappia mettere al servizio di tutti gli altri e in quanto pone come tratti essenziali del rapporto di stima, la partecipazione, la risposta ai rispettivi contributi, lo scambio paritario, il rispetto, e la disponibilità. Allena al coraggio mettendosi alla prova anche quando è possibile andare incontro alla sconfitta od ad uno svantaggio personale, a tentare anche quando gli sforzi possono sembrare inutili, od alla forma più evoluta, che è il saper cercare, ammettere e correggere i propri errori. Il calcio insegna inoltre a pensare, a valutare ed a proporre in quanto chiede e permette ad ognuno di portare i propri contributi d’idee ed iniziative. Ed infine chiama il genitore a partecipare ma, intanto, gli offre gli strumenti e le conoscenze perché non si trasformi in uno stimolo negativo.In questa prospettiva, chi si limita a trasmettere dei contenuti può portare l’allievo a conoscerli, ma non a viverli ed usarli in maniera consapevole e, inoltre non può mai arrivare alle sue qualità ed ai suoi caratteri specifici e dunque non può aiutarlo a svilupparli. Il rapporto è il fondamento dell’educazione. La stima, la reciprocità, il rispetto, la possibilità di partecipare in posizione paritaria e di cooperare per raggiungere gli stessi obiettivi sono le condizioni che portano l’allievo ad apprendere ed ad agire, in modo naturale, nell’ambito dei modi condivisi. Qualsiasi traguardo ed acquisizione è un momento di un processo che non può essere mai essere considerato definitivo e concluso: è professionalmente completo solo se il giocatore sa evolversi e completarsi fino al termine della carriera. L’allievo, in serenità, riuscirà ad avere il coraggio di fronte alle difficoltà ed al rischio dell’errore, di sperimentarsi ed andare oltre quanto gli si può essere insegnato.
dr. Claudio De Martini
L’istruttore del settore giovanile non ha ancora creato una cultura, in grado di formare, in primo luogo un uomo ed in secondo luogo un buon giocatore professionista. Si usano metodi d’insegnamento ripetitivi ed obsoleti, non sperimentando conoscenze e strumenti atti a scoprire, correggere e sviluppare l’intelligenza, la personalità ed il carattere del giovane calciatore, non rispettando, talvolta, le fasi fisiologiche dello sviluppo ed ignorando l’influenza delle motivazioni e della partecipazione consapevole alla crescita personale. Infatti, si crede ancora che l’impegno, l’apprendimento e l’adesione siano garantiti dalle promesse od offerte utopistiche o dalle gratificazioni di cose materiali. Tutto ciò comporta una crescita molto lenta del giocatore professionista, non in grado di adattarsi alle crescenti esigenze della professione. Egli, infatti, è allenato e preparato a tutto, ma non a pensare ed agire con la propria testa, a proporre o decidere, o ad assumersi responsabilità senza essere guidato. Lo sport non sa ancora trasformare il gioco in uno strumento educativo, capace cioè di sviluppare insieme, la persona e l’atleta, pensando esclusivamente a formare il giocatore di calcio, per soli interessi economici. Alla base di tutto ciò, cerco di migliorare i settori giovanili in cui opero, e migliorarmi per poter crescere assieme ai ragazzi che seguo giornalmente, credendo nella persona e non nelle cose fittizie che vengono spesso promesse e mai mantenute. Cerco di mostrare una crescente curiosità ed interesse verso tecniche più moderne, indagando e sviluppando ciò che è più specifico e che decide e che regola l’attività del giocatore, non limitando la libertà espressiva e la possibilità d’autonomia del giocatore. Il calcio, purtroppo, è sottoposto a pressioni sempre più incalzanti, che non prepara o chiede troppo e talvolta il giocatore sarebbe in grado di dare di più, ma non riesce a farlo, perché c’è una richiesta sempre eccessiva ed opprimente. Questo lo spinge ad esasperare i toni agonistici, la frenesia e l’attesa della gara. Mentre l’agonismo è lucidità, capacità d’essere presenti alla situazione, libertà dalla paura d’errare, non proponendo al giocatore di ragionare con la propria testa, ed a produrre e proporre insieme tematiche per lo sviluppo fisiologico del giovane calciatore. Tutto ciò va contro la sua autonomia, e gli trasmette sensazioni negative e soluzioni già definite e dunque, ne sopisce il desiderio di scoperta e ne ostacola l’attitudine a produrre iniziative personali, limitando delle capacità che probabilmente non usciranno in questa situazione. Si forma un puro esecutore di gesti, mentre il calcio moderno ha bisogno di una mente pensante che sappia decidere ed operare in autonomia, dimostrando le proprie capacità in toto. La funzione educativa non può sottrarsi ad una regola fondamentale: quella di trasmettere da parte dell’insegnante le proprie prerogative ed i propri modelli di comportamento. Se l’allenatore non riconosce il ruolo del giocatore e non si mette al cospetto di esso, non potrà mai aspettarsi un individuo conscio delle proprie possibilità, autonomo, ma solamente pronto ad ascoltare le tematiche proposte, ma soprattutto pronto a proporre idee nuove e soluzioni alternative alle esercitazioni proposte, in funzione della propria crescita graduale e progressiva, che porterà a costruire prima l’uomo e poi il giocatore di calcio. L’allievo deve partecipare in modo attivo e diretto al proprio processo di maturazione psicologica ed intellettiva, ed in questo modo saprà amministrarsi da solo, portando a termine con continuità esercitazioni di tipo complesso. L’insegnante trasmette comportamenti, conoscenze, norme, convinzioni, valori ed aspirazioni comuni, ma intanto crea un clima che induce l’allievo ad assumersi le proprie responsabilità, usando tutti i concetti immessi secondo le proprie attitudini e poi a farli evolvere nella misura consentita dalla sua dotazione creativa. Egli interviene quindi, per completarsi includendo creatività, fantasia, originalità, critica, curiosità, iniziativa, coraggio e tutto ciò che concerne e che concorre ad interpretare la realtà ed a farla evolvere. Si migliora inoltre la capacità di mettersi al servizio della funzionalità del collettivo, di scegliere soluzioni più efficaci, di sapere acquisire dalle esperienze e saperle trasformare in bagaglio personale, immedesimandosi nelle situazioni, di capirne gli usi e le implicazioni e di portare una propria impronta personale che serva a renderle più funzionali, o quella dote, fondamentale nell’evoluzione, di saper imparare da chiunque ma, di superare, allo stesso tempo, quanto può essere trasmesso con l’insegnamento. Tutto ciò allena e sviluppa il sentimento sociale ed abitua a cooperare, in quanto il collettivo è la condizione che raccoglie i contributi di tutti e pretende che ognuno si sappia mettere al servizio di tutti gli altri e in quanto pone come tratti essenziali del rapporto di stima, la partecipazione, la risposta ai rispettivi contributi, lo scambio paritario, il rispetto, e la disponibilità. Allena al coraggio mettendosi alla prova anche quando è possibile andare incontro alla sconfitta od ad uno svantaggio personale, a tentare anche quando gli sforzi possono sembrare inutili, od alla forma più evoluta, che è il saper cercare, ammettere e correggere i propri errori. Il calcio insegna inoltre a pensare, a valutare ed a proporre in quanto chiede e permette ad ognuno di portare i propri contributi d’idee ed iniziative. Ed infine chiama il genitore a partecipare ma, intanto, gli offre gli strumenti e le conoscenze perché non si trasformi in uno stimolo negativo.In questa prospettiva, chi si limita a trasmettere dei contenuti può portare l’allievo a conoscerli, ma non a viverli ed usarli in maniera consapevole e, inoltre non può mai arrivare alle sue qualità ed ai suoi caratteri specifici e dunque non può aiutarlo a svilupparli. Il rapporto è il fondamento dell’educazione. La stima, la reciprocità, il rispetto, la possibilità di partecipare in posizione paritaria e di cooperare per raggiungere gli stessi obiettivi sono le condizioni che portano l’allievo ad apprendere ed ad agire, in modo naturale, nell’ambito dei modi condivisi. Qualsiasi traguardo ed acquisizione è un momento di un processo che non può essere mai essere considerato definitivo e concluso: è professionalmente completo solo se il giocatore sa evolversi e completarsi fino al termine della carriera. L’allievo, in serenità, riuscirà ad avere il coraggio di fronte alle difficoltà ed al rischio dell’errore, di sperimentarsi ed andare oltre quanto gli si può essere insegnato.
dr. Claudio De Martini
IL PUNTO DI VISTA PSICOMOTORIO
Lo psicomotricista vede il disturbo presentato dal bambino come una discrepanza del rapporto tra mente e corpo che si evidenzia nell'atto motorio in chiave relazionale.
Il tono e la postura, sono due elementi specifici dell'azione psicomotoria (Ajuriaguerra). Ma il tono e la postura si evidenziano nella motricità, quindi se si bonifica la motricità si può arrivare a un diverso rapporto tra mente e corpo.
È nella motricità, che si può sperimentare il collegamento più o meno forte tra il pensare e l'agire.
Il terapista si deve porre in una situazione di ascolto profondo verso il bambino amplificandone il suo agire e modificandone le sue parti inadeguate, nel rispetto dell'individualità del bambino, dei suoi tempi, della sua disponibilità, ..., favorendo il recupero armonico del suo sviluppo.
Il terapista deve in tutto questo deve creare i presupposti utili per far sì che il bambino possa elaborare, interiorizzare i vissuti, le esperienze fatti nella stanza.
Quest'ultimo concetto non è altro che un momento di crescita per il bambino che gli permette ogni volta di salire un gradino in più della scala dello sviluppo.
Psicomotricità:
“Termine che si riferisce alla attività motoria in quanto influenzata dai processi psichici e in quanto riflettente il tipo di personalità individuale. La psicomotricità studia ed educa l'attività psichica attraverso il movimento del corpo.”
Terapia Psicomotoria
La terapia psicomotoria sorge dalle professioni del movimento:
1. educazione fisica
2. danza
3. ritmica
4. espressione corporea
Per questi motivi, i contenuti delle sue attività sono spesso affini a quelle delle professioni sopraccitate, infatti, molte volte viene confusa con qualcuna di essi.
Ciò che distingue invece la psicomotricità da altre discipline sono gli scopi e i modi con i cui i contenuti sono proposti: lo scopo non è la prestazione, la performance sportiva o artistica.
Il movimento è un mezzo per armonizzare lo sviluppo della personalità e non un fine.
Pensiero è azione
Henri Wallon commentando lo sviluppo del bambino affermò che il “Pensiero è Azione” o viceversa.
Il pensiero è azione perché il bambino con il suo corpo e il movimento esprime le sue emozioni e la sua vita affettiva.
L' azione è pensiero perché agendo con gli oggetti, esplorando lo spazio, scoprendo il suo corpo, accede alla capacità di rappresentazione di sé e degli altri, quindi al pensiero.
Questo concetto viene riportato in questa pagina, proprio perchè si vuole sottolineare ancora di più l'importanza del movimento del corpo.
Infatti il terapista della psicomotricità sfrutta moltissimo l'azione del bambino, inteso come movimento del corpo, per permettere al bambino accesso in maniera piacevole a dimensioni come il pensiero e rappresentazione dei suoi vissuti o difficoltà.
In modo che il bambino possa percepire i suoi limiti per poterli accettare, ma sopratutto sviluppare le sue potenzialità, che a loro volta trascinano verso lo sviluppo le difficoltà.
Cosa pensa il bambino
· Chi è questo signore?
· Cosa vuole da me?
· Perché io dovrei giocare con lui?
Queste domande che inizialmente il bambino si pone, nel tempo si trasformano in:
· Come e cosa farò in quel luogo?
Quindi le domande non si articolano solo sulla persona, ma sull'accadere.
È questo accadere nel luogo e nel tempo della seduta che il bambino riconosce come proprio, personale, individuale.
Chi è il terapeuta della psicomotricità
Il terapista della psicomotricità è uno strumento che permette al bambino di accedere a una consapevolezza della propria identità corporea, consapevolezza fondamentale per giungere alla capacità di rappresentare emozioni proprie.
L'obiettivo del terapeuta è quello di aiutare il bambino ad essere in grado di “pensare il suo pensiero”. Accompagna il bambino nel suo percorso non condizionato dal terapista, costruito interamente dal bambino.
Il terapista si colloca al lato del bambino per collaborare in una ricerca personale delle proprie emozioni e delle parole che le rappresentano.
Il terapista della psicomotricità, amplifica la spontaneità del bambino, gli permette di mettere in pratica la voglia di agire o di non agire che ha dentro, rendendo ogni suo gesto, parola, azione unica ed utile per il raggiungimento e la risoluzione della domanda di aiuto che il bambino esprime attraverso il suo essere.
Chi la può svolgere la terapia psicomotoria
La terapia psicomotoria è indicata per i bambini compresi in una fascia di età che mediamente va dai primi mesi di vita agli 11/15 anni. Anche se, si possono trovare alcune differenze tra le teorie di alcuni autori sui valori sopra indicati.
La durate non è preventivamente quantificabile; anche perchè dipende da molti fattori, ma in modo indicativo è situata in un periodo che va da 1 a 3 anni.
Ovviamenti i dati riportati qui sopra possono subbire delle variazioni:
· dalla gravità della patologia del bambino
· dalle sue capacità
· dalle sue potenzialità
· dalla modalità di collaborazione da parte dei:
o genitori
o insegnanti
· dalla modalità di collaborazione tra le varie figure sanitarie
· dalla professionalità e motivazione da parte del terapista
Il tempo in psicomotricità
I tempi della pratica psicomotoria sono ben strutturati, le sedute non devono capitare per caso senza che il bambino possa aspettarle, desiderarle in ogni caso pensarle.
Quindi è opportuno spiegare al bambino che in quel posto a quella ora, in quel giorno, si fa quel tipo di attività.
È opportuno, stabilire le frequenze delle sedute. Per alimentare il desiderio, ma al tempo stesso distanziata da permettere l'elaborazione del desiderio stesso, nel bambino, risulta sufficientemente intesa una scadenza bisettimanale.
I tempi della seduta possono essere contenuti entro i 50/60 minuti, compresi i rituali d'inizio.
Lo spazio della stanza di Psicomotricità
Lo spazio della stanza di terapia psicomotoria è uno spazio “pensato dall'adulto per il bambino”, ed è il primo grande segnale di attenzione al suo desiderio.
L'allestimento prevede un'area legata al senso-motorio : questa area è costituita da:
· Spalliere
· Scivoli
· Materassi
· Materiale da cui e su cui è possibile salire, scendere, cadere, saltare soprattutto verso il basso, attraverso una struttura obliqua in cui ogni bambino possa decidere l'altezza da cui saltare.
In questa area il bambino è prevalentemente impegnato in azioni di trasformazione a livello del suo corpo reale, con stimolazione propriocettive legate ai repentini cambiamenti pasturali.
Un altro luogo legato all'espressività motorie è quello in cui si concentrano gli oggetti o materiale non strutturato necessario ad un'attività che noi definiamo di gioco simbolico , in cui la matrice rappresentazionale comincia a differenziarsi dal proprio corpo.
In questa area il bambino sperimenta frequentemente la “mobilità” dell'esperienza: uno dei poli essenziale per la costruzione del sé.
· Il costruire e il distruggere,
· l'apporre e lo scomporre di forme,
· il dentro e il fuori
· L'equilibrio e il disequilibrio
Tutto questo, attraverso la mediazione dell'oggetto, attivano nel bambino infinite possibilità di creazione attraverso schemi di azioni favoriti in maniera diretta e in diretta dall'adulto.
Nell'area della rappresentazione plastica, che è legata ad uno spazio ben delimitato, in cui si può accedere in un secondo momento, il bambino vive una fase di minor coinvolgimento corporeo.
Qui, il bambino lascia delle tracce di sé.
È il luogo della:
· rappresentazione grafica,
· delle costruzioni di legno
· della creta da modellare
· delle favole da raccontare.
Queste aree così predisposte sono messe a disposizione dei bambini, quindi potranno essere utilizzati, ma non confusi. Il percorso all'interno di queste aree è progettato dal bambino, mentre l'adulto è al suo fianco.
La correlazione tra una certa struttura spaziale e le coordinate temporali ad essa è inevitabile.
Gli oggetti, gli attrezzi della psicomotricità
· Palloni
· Funi
· Bastoni
· Blocchetti di costruzioni
· Strumento di base, il dialogo
· Tappeti
· Terapeuta
· Un corpo
· Uno sguardo
Strumenti rivolti all'unico interesse del bambino: l'accesso alla propria corporeità e alla propria parola.
Il gioco nella Psicomotricità
Oltre ad essere un importante espressione della vita affettiva del bambino, il gioco permette di sviluppare:
· abilità motorie
· cognitive
· sociali
in molti bambini con difficoltà, il gioco è inibito, cioè assente nel quotidiano, e questo quasi sempre porta all'esclusione sociale da parte dei coetanei.
Il terapista della psicomotricità crea le condizioni ottimali per l'espressione ludica, e sollecita strategicamente nel bambino le diverse forme di gioco:
· giochi motori
· giochi simbolici.
· giochi con regole
· giochi di costruzione
Quindi diventa un trampolino di lancio per motivare determinate prestazioni le quali, nel quotidiano sono solitamente evitate.
La seduta di pratica psicomotoria ( metodo di Bernard Aucouturier )
L'entrata
Il bambino troverà all'interno della stanza uno scenario che ritorna sempre uguale nelle sue caratteristiche di fondo.
C'è un luogo nella sala dove ogni volta adulto e bambino si riuniscono e dove avvengono alcuni rituali, come il togliere le scarpe o sfilarsi abiti troppo pesanti.
Questo primo spazio, delimita il confine tra il dentro e il fuori della stanza.
Con lo scopo di evocare sensazioni, l'adulto fa domande che possono ricordare la seduta precedente, ascoltare qualche indicazione da parte del bambino, attivare così ricordi che mobilitano il pensiero. Il tutto avviene in un area di piacere e di tranquillità.
L'azione e l'espressività motoria
Il bambino parte e si dirige verso quelle situazioni prescelte e inizia l'attività.
L'adulto è colui che struttura inizialmente la situazione, ma è anche colui che favorisce l'azione del bambino:
· osserva l'azione del bambino
· lo incoraggia e ne amplifica il gioco attraverso strategie indirette che riguardano l'uso di tutti i canali espressivi e comunicativi
· privilegia in modo particolare il suo assetto tonico – posturale come sfondo di apertura dell'esperienza del bambino
· osserva ed agisce sulle dinamiche
· può intervenire sul
o materiale
o sui tempi
o sulle modalità di gioco con lo scopo di favorire le trasformazioni e di far evolvere le fissità che possono presentarsi nella poca abitudine dei bambini al gioco spontaneo.
· Attraverso il controllo del tempo, l'adulto può avviare il bambino verso la fine della seduta.
Espressione plastica
In questo secondo spazio il bambino vive la possibilità di proiettare le rappresentazioni non coscienti di sé ad un altro livello.
L'uscita
Questo momento che non va mai sottovalutato ne affrettato. Il bambino, prima deve vivere un momento di “decompressione” per essere pronto a cambiare contesto.
Le aree di gioco della psicomotricità
· Tonico – emozionale
Si struttura nel dialogo tonico madre – bambino, interessa la sensibilità propriocettiva, quindi la funzione tonica, che dal livello neurofisiologico si trasforma gradualmente in tessuto della relazione; interessa anche la sensibilità labirintica e tattile.
· Pre – simbolico
Nasce dalla qualità delle prime relazioni, dai primi dati sensoriali (soprattutto visivi) che si organizzano intorno al binomio “presenza e assenza” e dalla sensibilità viscerale legata alle sensazioni di “pieno – vuoto”.
· Senso – motorio
È lo spazio ludico che si attiva intorno ai 2 – 3 anni quando sembra completa una prima fase di costruzione della propria identità.
In questa fase diminuendo l'intensità del rapporto tonico – posturale, il bambino si procura piacere da sé attraverso la sua iniziativa nello spazio, attraverso il gioco dei contrasti:
· alto – basso
· orizzontale – verticale
· duro – morbido
In questo luogo l'emozione prende forma attraverso il corpo.
· Simbolico
Questa area si configura come la dimensione della finzione, della costruzione di spazi immaginari, personaggi, relazioni, vicende e storie strutturate ancora attraverso l'azione.
Si passa gradualmente fra i 3 – 7 anni ad un gioco sempre più complesso di proiezioni delle vicende interne fino ad un raffinato gioco di identificazione con i ruoli della realtà vissuta dal bambino.
Attraverso il gioco simbolico si attiva la ricca sfera delle immagini interne accanto alla creazione spaziale ed all'interazione. Le forme della rappresentazione incanalano le emozioni.
· Motorio
In questo gioco il bambino vive una nuova dimensione di piacere meno direttamente collegato all'emozione; e il piacere della ricerca del risultato, della competizione del confronto con un obiettivo esterno attraverso l'anticipazione e la progettazione del movimento.
· Rappresentazione plastica
In questa area il bambino può rappresentare contenuti reali o immaginari, espressi attraverso emozioni motorie molto ridotte:
o Manipolazione di materiali
o Costruzione
o Disegno
o Scrivere in genere
I processi di astrazione e di simbolizzazione, assumono un ruolo dominante
L'emozione è comunque presente, ma sotto una forma diversa.
Possibili approcci in Psicomotricità.
L’impostazione teorica-clinica su cui si fonda la disciplina della Psicomotricità è costituita da una integrazione di più approcci, anche se (tranne in alcuni casi), maggiore rilevanza viene data a quello Psicodinamico. Infatti, giusto spazio trovano gli approcci:
· Comportamentista
· Cognitivista
· Sistemico.
Alcuni di questi o anche tutti, spesso sono adottati contemporaneamente in armonia tra loro.In terapia psicomotoria non ci si avvale di un solo approccio, ma durante lo svolgimento di essa l’uno o l’altro viene adottato secondo la necessità del momento.
Lo psicomotricista vede il disturbo presentato dal bambino come una discrepanza del rapporto tra mente e corpo che si evidenzia nell'atto motorio in chiave relazionale.
Il tono e la postura, sono due elementi specifici dell'azione psicomotoria (Ajuriaguerra). Ma il tono e la postura si evidenziano nella motricità, quindi se si bonifica la motricità si può arrivare a un diverso rapporto tra mente e corpo.
È nella motricità, che si può sperimentare il collegamento più o meno forte tra il pensare e l'agire.
Il terapista si deve porre in una situazione di ascolto profondo verso il bambino amplificandone il suo agire e modificandone le sue parti inadeguate, nel rispetto dell'individualità del bambino, dei suoi tempi, della sua disponibilità, ..., favorendo il recupero armonico del suo sviluppo.
Il terapista deve in tutto questo deve creare i presupposti utili per far sì che il bambino possa elaborare, interiorizzare i vissuti, le esperienze fatti nella stanza.
Quest'ultimo concetto non è altro che un momento di crescita per il bambino che gli permette ogni volta di salire un gradino in più della scala dello sviluppo.
Psicomotricità:
“Termine che si riferisce alla attività motoria in quanto influenzata dai processi psichici e in quanto riflettente il tipo di personalità individuale. La psicomotricità studia ed educa l'attività psichica attraverso il movimento del corpo.”
Terapia Psicomotoria
La terapia psicomotoria sorge dalle professioni del movimento:
1. educazione fisica
2. danza
3. ritmica
4. espressione corporea
Per questi motivi, i contenuti delle sue attività sono spesso affini a quelle delle professioni sopraccitate, infatti, molte volte viene confusa con qualcuna di essi.
Ciò che distingue invece la psicomotricità da altre discipline sono gli scopi e i modi con i cui i contenuti sono proposti: lo scopo non è la prestazione, la performance sportiva o artistica.
Il movimento è un mezzo per armonizzare lo sviluppo della personalità e non un fine.
Pensiero è azione
Henri Wallon commentando lo sviluppo del bambino affermò che il “Pensiero è Azione” o viceversa.
Il pensiero è azione perché il bambino con il suo corpo e il movimento esprime le sue emozioni e la sua vita affettiva.
L' azione è pensiero perché agendo con gli oggetti, esplorando lo spazio, scoprendo il suo corpo, accede alla capacità di rappresentazione di sé e degli altri, quindi al pensiero.
Questo concetto viene riportato in questa pagina, proprio perchè si vuole sottolineare ancora di più l'importanza del movimento del corpo.
Infatti il terapista della psicomotricità sfrutta moltissimo l'azione del bambino, inteso come movimento del corpo, per permettere al bambino accesso in maniera piacevole a dimensioni come il pensiero e rappresentazione dei suoi vissuti o difficoltà.
In modo che il bambino possa percepire i suoi limiti per poterli accettare, ma sopratutto sviluppare le sue potenzialità, che a loro volta trascinano verso lo sviluppo le difficoltà.
Cosa pensa il bambino
· Chi è questo signore?
· Cosa vuole da me?
· Perché io dovrei giocare con lui?
Queste domande che inizialmente il bambino si pone, nel tempo si trasformano in:
· Come e cosa farò in quel luogo?
Quindi le domande non si articolano solo sulla persona, ma sull'accadere.
È questo accadere nel luogo e nel tempo della seduta che il bambino riconosce come proprio, personale, individuale.
Chi è il terapeuta della psicomotricità
Il terapista della psicomotricità è uno strumento che permette al bambino di accedere a una consapevolezza della propria identità corporea, consapevolezza fondamentale per giungere alla capacità di rappresentare emozioni proprie.
L'obiettivo del terapeuta è quello di aiutare il bambino ad essere in grado di “pensare il suo pensiero”. Accompagna il bambino nel suo percorso non condizionato dal terapista, costruito interamente dal bambino.
Il terapista si colloca al lato del bambino per collaborare in una ricerca personale delle proprie emozioni e delle parole che le rappresentano.
Il terapista della psicomotricità, amplifica la spontaneità del bambino, gli permette di mettere in pratica la voglia di agire o di non agire che ha dentro, rendendo ogni suo gesto, parola, azione unica ed utile per il raggiungimento e la risoluzione della domanda di aiuto che il bambino esprime attraverso il suo essere.
Chi la può svolgere la terapia psicomotoria
La terapia psicomotoria è indicata per i bambini compresi in una fascia di età che mediamente va dai primi mesi di vita agli 11/15 anni. Anche se, si possono trovare alcune differenze tra le teorie di alcuni autori sui valori sopra indicati.
La durate non è preventivamente quantificabile; anche perchè dipende da molti fattori, ma in modo indicativo è situata in un periodo che va da 1 a 3 anni.
Ovviamenti i dati riportati qui sopra possono subbire delle variazioni:
· dalla gravità della patologia del bambino
· dalle sue capacità
· dalle sue potenzialità
· dalla modalità di collaborazione da parte dei:
o genitori
o insegnanti
· dalla modalità di collaborazione tra le varie figure sanitarie
· dalla professionalità e motivazione da parte del terapista
Il tempo in psicomotricità
I tempi della pratica psicomotoria sono ben strutturati, le sedute non devono capitare per caso senza che il bambino possa aspettarle, desiderarle in ogni caso pensarle.
Quindi è opportuno spiegare al bambino che in quel posto a quella ora, in quel giorno, si fa quel tipo di attività.
È opportuno, stabilire le frequenze delle sedute. Per alimentare il desiderio, ma al tempo stesso distanziata da permettere l'elaborazione del desiderio stesso, nel bambino, risulta sufficientemente intesa una scadenza bisettimanale.
I tempi della seduta possono essere contenuti entro i 50/60 minuti, compresi i rituali d'inizio.
Lo spazio della stanza di Psicomotricità
Lo spazio della stanza di terapia psicomotoria è uno spazio “pensato dall'adulto per il bambino”, ed è il primo grande segnale di attenzione al suo desiderio.
L'allestimento prevede un'area legata al senso-motorio : questa area è costituita da:
· Spalliere
· Scivoli
· Materassi
· Materiale da cui e su cui è possibile salire, scendere, cadere, saltare soprattutto verso il basso, attraverso una struttura obliqua in cui ogni bambino possa decidere l'altezza da cui saltare.
In questa area il bambino è prevalentemente impegnato in azioni di trasformazione a livello del suo corpo reale, con stimolazione propriocettive legate ai repentini cambiamenti pasturali.
Un altro luogo legato all'espressività motorie è quello in cui si concentrano gli oggetti o materiale non strutturato necessario ad un'attività che noi definiamo di gioco simbolico , in cui la matrice rappresentazionale comincia a differenziarsi dal proprio corpo.
In questa area il bambino sperimenta frequentemente la “mobilità” dell'esperienza: uno dei poli essenziale per la costruzione del sé.
· Il costruire e il distruggere,
· l'apporre e lo scomporre di forme,
· il dentro e il fuori
· L'equilibrio e il disequilibrio
Tutto questo, attraverso la mediazione dell'oggetto, attivano nel bambino infinite possibilità di creazione attraverso schemi di azioni favoriti in maniera diretta e in diretta dall'adulto.
Nell'area della rappresentazione plastica, che è legata ad uno spazio ben delimitato, in cui si può accedere in un secondo momento, il bambino vive una fase di minor coinvolgimento corporeo.
Qui, il bambino lascia delle tracce di sé.
È il luogo della:
· rappresentazione grafica,
· delle costruzioni di legno
· della creta da modellare
· delle favole da raccontare.
Queste aree così predisposte sono messe a disposizione dei bambini, quindi potranno essere utilizzati, ma non confusi. Il percorso all'interno di queste aree è progettato dal bambino, mentre l'adulto è al suo fianco.
La correlazione tra una certa struttura spaziale e le coordinate temporali ad essa è inevitabile.
Gli oggetti, gli attrezzi della psicomotricità
· Palloni
· Funi
· Bastoni
· Blocchetti di costruzioni
· Strumento di base, il dialogo
· Tappeti
· Terapeuta
· Un corpo
· Uno sguardo
Strumenti rivolti all'unico interesse del bambino: l'accesso alla propria corporeità e alla propria parola.
Il gioco nella Psicomotricità
Oltre ad essere un importante espressione della vita affettiva del bambino, il gioco permette di sviluppare:
· abilità motorie
· cognitive
· sociali
in molti bambini con difficoltà, il gioco è inibito, cioè assente nel quotidiano, e questo quasi sempre porta all'esclusione sociale da parte dei coetanei.
Il terapista della psicomotricità crea le condizioni ottimali per l'espressione ludica, e sollecita strategicamente nel bambino le diverse forme di gioco:
· giochi motori
· giochi simbolici.
· giochi con regole
· giochi di costruzione
Quindi diventa un trampolino di lancio per motivare determinate prestazioni le quali, nel quotidiano sono solitamente evitate.
La seduta di pratica psicomotoria ( metodo di Bernard Aucouturier )
L'entrata
Il bambino troverà all'interno della stanza uno scenario che ritorna sempre uguale nelle sue caratteristiche di fondo.
C'è un luogo nella sala dove ogni volta adulto e bambino si riuniscono e dove avvengono alcuni rituali, come il togliere le scarpe o sfilarsi abiti troppo pesanti.
Questo primo spazio, delimita il confine tra il dentro e il fuori della stanza.
Con lo scopo di evocare sensazioni, l'adulto fa domande che possono ricordare la seduta precedente, ascoltare qualche indicazione da parte del bambino, attivare così ricordi che mobilitano il pensiero. Il tutto avviene in un area di piacere e di tranquillità.
L'azione e l'espressività motoria
Il bambino parte e si dirige verso quelle situazioni prescelte e inizia l'attività.
L'adulto è colui che struttura inizialmente la situazione, ma è anche colui che favorisce l'azione del bambino:
· osserva l'azione del bambino
· lo incoraggia e ne amplifica il gioco attraverso strategie indirette che riguardano l'uso di tutti i canali espressivi e comunicativi
· privilegia in modo particolare il suo assetto tonico – posturale come sfondo di apertura dell'esperienza del bambino
· osserva ed agisce sulle dinamiche
· può intervenire sul
o materiale
o sui tempi
o sulle modalità di gioco con lo scopo di favorire le trasformazioni e di far evolvere le fissità che possono presentarsi nella poca abitudine dei bambini al gioco spontaneo.
· Attraverso il controllo del tempo, l'adulto può avviare il bambino verso la fine della seduta.
Espressione plastica
In questo secondo spazio il bambino vive la possibilità di proiettare le rappresentazioni non coscienti di sé ad un altro livello.
L'uscita
Questo momento che non va mai sottovalutato ne affrettato. Il bambino, prima deve vivere un momento di “decompressione” per essere pronto a cambiare contesto.
Le aree di gioco della psicomotricità
· Tonico – emozionale
Si struttura nel dialogo tonico madre – bambino, interessa la sensibilità propriocettiva, quindi la funzione tonica, che dal livello neurofisiologico si trasforma gradualmente in tessuto della relazione; interessa anche la sensibilità labirintica e tattile.
· Pre – simbolico
Nasce dalla qualità delle prime relazioni, dai primi dati sensoriali (soprattutto visivi) che si organizzano intorno al binomio “presenza e assenza” e dalla sensibilità viscerale legata alle sensazioni di “pieno – vuoto”.
· Senso – motorio
È lo spazio ludico che si attiva intorno ai 2 – 3 anni quando sembra completa una prima fase di costruzione della propria identità.
In questa fase diminuendo l'intensità del rapporto tonico – posturale, il bambino si procura piacere da sé attraverso la sua iniziativa nello spazio, attraverso il gioco dei contrasti:
· alto – basso
· orizzontale – verticale
· duro – morbido
In questo luogo l'emozione prende forma attraverso il corpo.
· Simbolico
Questa area si configura come la dimensione della finzione, della costruzione di spazi immaginari, personaggi, relazioni, vicende e storie strutturate ancora attraverso l'azione.
Si passa gradualmente fra i 3 – 7 anni ad un gioco sempre più complesso di proiezioni delle vicende interne fino ad un raffinato gioco di identificazione con i ruoli della realtà vissuta dal bambino.
Attraverso il gioco simbolico si attiva la ricca sfera delle immagini interne accanto alla creazione spaziale ed all'interazione. Le forme della rappresentazione incanalano le emozioni.
· Motorio
In questo gioco il bambino vive una nuova dimensione di piacere meno direttamente collegato all'emozione; e il piacere della ricerca del risultato, della competizione del confronto con un obiettivo esterno attraverso l'anticipazione e la progettazione del movimento.
· Rappresentazione plastica
In questa area il bambino può rappresentare contenuti reali o immaginari, espressi attraverso emozioni motorie molto ridotte:
o Manipolazione di materiali
o Costruzione
o Disegno
o Scrivere in genere
I processi di astrazione e di simbolizzazione, assumono un ruolo dominante
L'emozione è comunque presente, ma sotto una forma diversa.
Possibili approcci in Psicomotricità.
L’impostazione teorica-clinica su cui si fonda la disciplina della Psicomotricità è costituita da una integrazione di più approcci, anche se (tranne in alcuni casi), maggiore rilevanza viene data a quello Psicodinamico. Infatti, giusto spazio trovano gli approcci:
· Comportamentista
· Cognitivista
· Sistemico.
Alcuni di questi o anche tutti, spesso sono adottati contemporaneamente in armonia tra loro.In terapia psicomotoria non ci si avvale di un solo approccio, ma durante lo svolgimento di essa l’uno o l’altro viene adottato secondo la necessità del momento.
Psicologia del Bambino
Il bambino.
Il calcio è uno sport di squadra, dunque uno sport in cui il giocatore non può gareggiare senza l’apporto tecnico e tattico dei compagni. Il partecipare ad attività sportive in cui la disciplina praticata prevede l’interazione tra più soggetti appartenenti alla stessa squadra, porta a sentirsi uniti in una collettività cui si può assegnare il nome di gruppo.
Tutti gli appartenenti al gruppo si muovono in campo, interagendo, ed avendo finalità d’intenti ed obiettivi comuni.
Il bambino che si avvicina alla pratica del calcio, ha la necessità di giocare, in forma ludica, ma orientata ed organizzata, in modo da poter eseguire gesti tecnici sotto forma di giochi didattici, e giuochi in cui vi sia una componente prettamente coordinativa e generale d’indirizzo tecnico sportivo. Tutte queste linee guida trovano la loro maggiore applicazione nella psicomotricità. Per psicomotricità si considerano tutte quelle proposte che favoriscono lo sviluppo globale del bambino, nell’aspetto motorio, psicologico e cognitivo; ovvero proposte che aiutano il bambino nella maturazione corporea totale, utilizzando entrambe le mani ed i piedi, stimolando con appropriati esercizi l’uso indistinto di tutti gli arti, e di tutto il corpo. Nell’ambito del gruppo, il soggetto, dovrà conservare una sua identità e personalità. Queste non devono mai essere soppresse anzi esaltate soprattutto nella parte ludica dell’attività sportiva, sfruttando la spontaneità e la fantasia, senza condizionarli in stereotipi esercizi atletici. Non vi è dubbio che lo sport è una variante del giocare. Tuttavia il calcio, essendo uno sport ad alta semeiotricità, dove l’attività avviene in situazioni non sempre facilmente prevedibili, richiede una maturità della funzione motoria ed elevate competenze cognitive.
I bambini cui dedichiamo il nostro tempo, hanno comunemente poca capacità coordinativa e la loro lateralità non è ancora sviluppata, con la conseguente incapacità d’eseguire esercizi preconfezionati.
E’ fondamentale quindi far eseguire esercizi dove ci sia una componente globale, ed il tecnico non deve soffermarsi sull’aspetto di come sono eseguiti sotto il punto di vista tecnico, ma se l’esercizio viene eseguito in modo coordinato
concentrando la nostra attenzione sul controllo corporeo e coscienza corporea che deve avere il bambino.
Il nostro allenamento deve essere sviluppato innanzi tutto con giochi che sviluppano la conoscenza e l’apprendimento in forma divertente, finalizzato ad apprendere uno sport: il gioco del calcio.
Non dobbiamo giocare solo a calcio, ma dobbiamo giocare di più con il calcio!
Quando l’azione motoria assume il significato di mezzo operativo per raggiungere uno scopo, viene indicata con il termine strategico-tattica. Attraverso questi comportamenti il bambino esprime col gioco il linguaggio universale del corpo: il movimento. Ci sono bambini molto disponibili ad apprendere nuovi movimenti e vedono in ogni stimolo motorio qualcosa da imparare. Altri invece, sono poco interessati ad espandere la loro motricità.
Ecco l’importanza di instaurare e conquistare da parte del tecnico, la loro fiducia e tenere sempre alta la loro attenzione, accogliendo il giovane calciatore, dimostrandosi sempre sereno, trasmettendo l’amore e la passione per questo sport.
Cercando di creare un ambiente di lavoro allegro e motivante dove il bambino si diverte senza distinzioni o rivalità personali. Bisogna aiutarli a crescere individualmente e tecnicamente, in un ambiente dove esistono delle regole ed il rispetto reciproco tra compagni. Il tecnico funge da modello per i piccoli calciatori, e li aiuta a creare le giuste motivazioni, insegnando loro, con adeguate metodologie, le tecniche calcistiche. Cercare di variare in modo continuo l’allenamento, in modo che il bambino possa esprimere in toto le sue capacità, non annoiandosi e tenendo loro un dialogo adatto per l’età anagrafica che rappresentano. Un buon rapporto tra istruttore ed allievo è alla base del raggiungimento di taluni obiettivi. L’istruttore fornisce all’allievo un modello di riferimento solo se è preparato sul piano motorio ed è provvisto di abilità tecniche. Inoltre si richiede che rappresenti per l’allievo anche un modello avvincente e facilitante non solo il processo maturativo dell’identità personale del bambino, ma anche del giusto sviluppo relazionale con gli adulti ed i coetanei, rapportando l’attività sportiva alla crescita educativa.
E’ importante porsi nei confronti del bambino in modo autentico, facendo trasparire le proprie emozioni e, se lo ritiene opportuno, comunicare la propria esperienza. Oltremodo accettare l’allievo in modo positivo ed incondizionato, in altre parole accettare il bambino così com’è. In tal modo è più facile che avvengano presto cambiamenti nel senso del miglioramento. L’istruttore non deve mai formulare giudizi affrettati. Ed infine riuscire a comprendere in modo empatico, vale a dire ascoltare in modo attivo soprattutto quegli allievi che presentano maggiori difficoltà.
Nelle scuole calcio l’obiettivo primario deve essere quello dell’insegnamento delle abilità motorie, cui consegue un miglioramento delle tecniche calcistiche. Gli esercizi-giochi devono esser spiegati in modo semplice, con parole di facile comprensione e con poche regole, in modo veloce ed efficace senza portar via loro del tempo per giocare.
Se ci troviamo di fronte ad esercitazioni non capite o svolte in modo non adeguato, prima di alzare la voce e sgridarli, dobbiamo porci alcune domande:
Abbiamo spiegato bene l’esercizio? Era di facile esecuzione? Abbiamo dato delle regole chiare e definitive?
Il risultato non deve essere posto come qualcosa da raggiungere ad ogni costo. Il divertimento in allenamento ed in partita deve essere sempre presente. E’ necessario fare un distinguo tra vittoria e successo. Vincere non è tutto, è un obiettivo importante ma non l’unico. La sconfitta nella competizione non deve essere considerata un fallimento personale, perché anche in una sconfitta si possono individuare elementi da sviluppare, e miglioramenti che, quindi vanno considerati come un successo. Successo non è solo vincere ma, soprattutto, lottare con tale fine.
Ovviamente non si deve esasperare l’agonismo precoce che , in mancanza di risultati, può portare all’abbandono precoce. I tecnici devono sempre ricordarsi che hanno di fronte non adulti ma bambini che si trovano in una fase molto importante non solo dello sviluppo motorio, ma anche di quello psichico.
L’interazione tra tecnico ed allievo deve essere biunivoca in modo tale da garantire al bambino di apprendere ed all’adulto di migliorarsi.
Claudio De Martini
Il calcio è uno sport di squadra, dunque uno sport in cui il giocatore non può gareggiare senza l’apporto tecnico e tattico dei compagni. Il partecipare ad attività sportive in cui la disciplina praticata prevede l’interazione tra più soggetti appartenenti alla stessa squadra, porta a sentirsi uniti in una collettività cui si può assegnare il nome di gruppo.
Tutti gli appartenenti al gruppo si muovono in campo, interagendo, ed avendo finalità d’intenti ed obiettivi comuni.
Il bambino che si avvicina alla pratica del calcio, ha la necessità di giocare, in forma ludica, ma orientata ed organizzata, in modo da poter eseguire gesti tecnici sotto forma di giochi didattici, e giuochi in cui vi sia una componente prettamente coordinativa e generale d’indirizzo tecnico sportivo. Tutte queste linee guida trovano la loro maggiore applicazione nella psicomotricità. Per psicomotricità si considerano tutte quelle proposte che favoriscono lo sviluppo globale del bambino, nell’aspetto motorio, psicologico e cognitivo; ovvero proposte che aiutano il bambino nella maturazione corporea totale, utilizzando entrambe le mani ed i piedi, stimolando con appropriati esercizi l’uso indistinto di tutti gli arti, e di tutto il corpo. Nell’ambito del gruppo, il soggetto, dovrà conservare una sua identità e personalità. Queste non devono mai essere soppresse anzi esaltate soprattutto nella parte ludica dell’attività sportiva, sfruttando la spontaneità e la fantasia, senza condizionarli in stereotipi esercizi atletici. Non vi è dubbio che lo sport è una variante del giocare. Tuttavia il calcio, essendo uno sport ad alta semeiotricità, dove l’attività avviene in situazioni non sempre facilmente prevedibili, richiede una maturità della funzione motoria ed elevate competenze cognitive.
I bambini cui dedichiamo il nostro tempo, hanno comunemente poca capacità coordinativa e la loro lateralità non è ancora sviluppata, con la conseguente incapacità d’eseguire esercizi preconfezionati.
E’ fondamentale quindi far eseguire esercizi dove ci sia una componente globale, ed il tecnico non deve soffermarsi sull’aspetto di come sono eseguiti sotto il punto di vista tecnico, ma se l’esercizio viene eseguito in modo coordinato
concentrando la nostra attenzione sul controllo corporeo e coscienza corporea che deve avere il bambino.
Il nostro allenamento deve essere sviluppato innanzi tutto con giochi che sviluppano la conoscenza e l’apprendimento in forma divertente, finalizzato ad apprendere uno sport: il gioco del calcio.
Non dobbiamo giocare solo a calcio, ma dobbiamo giocare di più con il calcio!
Quando l’azione motoria assume il significato di mezzo operativo per raggiungere uno scopo, viene indicata con il termine strategico-tattica. Attraverso questi comportamenti il bambino esprime col gioco il linguaggio universale del corpo: il movimento. Ci sono bambini molto disponibili ad apprendere nuovi movimenti e vedono in ogni stimolo motorio qualcosa da imparare. Altri invece, sono poco interessati ad espandere la loro motricità.
Ecco l’importanza di instaurare e conquistare da parte del tecnico, la loro fiducia e tenere sempre alta la loro attenzione, accogliendo il giovane calciatore, dimostrandosi sempre sereno, trasmettendo l’amore e la passione per questo sport.
Cercando di creare un ambiente di lavoro allegro e motivante dove il bambino si diverte senza distinzioni o rivalità personali. Bisogna aiutarli a crescere individualmente e tecnicamente, in un ambiente dove esistono delle regole ed il rispetto reciproco tra compagni. Il tecnico funge da modello per i piccoli calciatori, e li aiuta a creare le giuste motivazioni, insegnando loro, con adeguate metodologie, le tecniche calcistiche. Cercare di variare in modo continuo l’allenamento, in modo che il bambino possa esprimere in toto le sue capacità, non annoiandosi e tenendo loro un dialogo adatto per l’età anagrafica che rappresentano. Un buon rapporto tra istruttore ed allievo è alla base del raggiungimento di taluni obiettivi. L’istruttore fornisce all’allievo un modello di riferimento solo se è preparato sul piano motorio ed è provvisto di abilità tecniche. Inoltre si richiede che rappresenti per l’allievo anche un modello avvincente e facilitante non solo il processo maturativo dell’identità personale del bambino, ma anche del giusto sviluppo relazionale con gli adulti ed i coetanei, rapportando l’attività sportiva alla crescita educativa.
E’ importante porsi nei confronti del bambino in modo autentico, facendo trasparire le proprie emozioni e, se lo ritiene opportuno, comunicare la propria esperienza. Oltremodo accettare l’allievo in modo positivo ed incondizionato, in altre parole accettare il bambino così com’è. In tal modo è più facile che avvengano presto cambiamenti nel senso del miglioramento. L’istruttore non deve mai formulare giudizi affrettati. Ed infine riuscire a comprendere in modo empatico, vale a dire ascoltare in modo attivo soprattutto quegli allievi che presentano maggiori difficoltà.
Nelle scuole calcio l’obiettivo primario deve essere quello dell’insegnamento delle abilità motorie, cui consegue un miglioramento delle tecniche calcistiche. Gli esercizi-giochi devono esser spiegati in modo semplice, con parole di facile comprensione e con poche regole, in modo veloce ed efficace senza portar via loro del tempo per giocare.
Se ci troviamo di fronte ad esercitazioni non capite o svolte in modo non adeguato, prima di alzare la voce e sgridarli, dobbiamo porci alcune domande:
Abbiamo spiegato bene l’esercizio? Era di facile esecuzione? Abbiamo dato delle regole chiare e definitive?
Il risultato non deve essere posto come qualcosa da raggiungere ad ogni costo. Il divertimento in allenamento ed in partita deve essere sempre presente. E’ necessario fare un distinguo tra vittoria e successo. Vincere non è tutto, è un obiettivo importante ma non l’unico. La sconfitta nella competizione non deve essere considerata un fallimento personale, perché anche in una sconfitta si possono individuare elementi da sviluppare, e miglioramenti che, quindi vanno considerati come un successo. Successo non è solo vincere ma, soprattutto, lottare con tale fine.
Ovviamente non si deve esasperare l’agonismo precoce che , in mancanza di risultati, può portare all’abbandono precoce. I tecnici devono sempre ricordarsi che hanno di fronte non adulti ma bambini che si trovano in una fase molto importante non solo dello sviluppo motorio, ma anche di quello psichico.
L’interazione tra tecnico ed allievo deve essere biunivoca in modo tale da garantire al bambino di apprendere ed all’adulto di migliorarsi.
Claudio De Martini
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